Articoli di Enrica Massidda

Walter Bonatti era un filosofo

Scardovelli

Le imprese di Bonatti ci hanno sempre apassionato, abbiamo messo a disposizione alcuni estratti di epoca che ne descrivono i dettagli e vi consigliamo di vedere questo filmato dove Scardovelli descrive Walter Bonatti come un filosofo.

cliccate sull’immagine per aprire il filmato.

Scardovelli

Tra serigrafia e Risograph

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Bologna in primavera è tiepida, color pastello, Inuit è un laboratorio, casa editrice indipendente che stampa libri inediti di autori sconosciuti alla grande distribuzione ma di altissimo livello, tra cui Elisa Talentino, torinese di nascita, le sue illustrazioni hanno fatto il giro del mondo, proprio stamattina il suo profilo instagram ne pubblica una per il New York Times. Partecipo così in questo primo weekend di maggio ad un workshop di illustrazione organizzato da loro. I nostri lavori (il mio e quello degli altri partecipanti tra cui professionisti e studenti di varie accademie, scuole d’arte e design)  saranno stampati in Risograph e in serigrafia e di Risograph sento l’eco da ormai tanti anni senza mai averne capito bene il processo esucutivo. La Risograph è una specie di fotocopiatrice/stampante che usa tamburi e inchiostro liquido, quindi un mix tra serigrafia e  offset. Il risultato è un lavoro un po’ approssimativo rispetto alla resa del digitale ma è proprio questa imperfezione il suo pregio.

Inuit

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La mia formazione professionale si sviluppa nel desktop publishing, la grafica vettoriale e da una lunga esperienza editoriale dove uno stampato deve raggiungere un’alta qualità di riproduzione attraverso le tecniche di composizione e di prestampa. 10 anni fa il direttore tecnico della casa editrice per cui lavoravo ci faceva compilare dei moduli dove si doveva indicare per ogni libro mandato in stampa la suddivisione della foliazione, ottavi, sedicesimi… e per ogni pagina: solo testo, testo immagine, solo immagine… tecnicamente questo avrebbe aiutato lo stampatore a impostare le plance e calibrare il colore, se mi state leggendo non è detto che sappiate che le pagine di un libro non si stampano come a casa foglio dopo foglio ma si dispongono in grandi plance che poi vengono piegate e tagliate.

Riso

Allora immaginate che mondo si può aprire  con uno strumento che possa riprodurre la vostra opera intervenendo di volta in volta, sulla resa, giocare con la sovrapposizione della matrice e la calibrazione del colore per ogni singola stampa sino ad ottenere un risultato soddisfacente cioè qualcosa che riproduca fedelmente i tratti originali del tuo disegno, perchè la risograph riproduce come una fotocopiatrice anche se stampa anche da file. Per disegnare i fondi abbiamo utilizzato inchiostro nero, talvolta diluito per creare mezzi toni grigi, acrilico bianco o liquido per mascherare che grattato o inciso ha degli effetti molto interessanti.

Io ho ritagliato le sagome del mio disegno e poi le ho applicate sullo sfondo, in questo modo non ho fuso la stampa risograph a quella serigrafica.

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La seconda fase del workshop è stata dedicata alla sovrapposizione di una stampa serigrafica: la matrice la abbiamo precedentemente disegnta a mano libera su acetato con inchiostri speciali. La abbiamo impressa su un telaio con una lampada e poi installata su un piano di lavoro. A questo punto abbiamo regolato la sovrapposizione in modo più o meno preciso e la stampa serigrafica si è così sovrapposta alla stampa risograph.

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Per concludere vorrei presentarvi BlexBolex per me è stato amore a prima vista,  è un illustratore francese che utilizza la serigrafia per la stampa dei suoi lavori e il suo lavoro si caratterizza oltre che per la sua sintesi e il suo acume anche per quei fuori registro che lo rendono unico. Orecchio Acerbo mette a disposizione un pdf in bassa per sfogliare il libro “IMMAGINARIO” e io vi consiglio di farlo seguendo il link

Enrica

Un NudistaUn uomo invisibile

 

 

 

 

Collodi

Collodi

Collodi

I primi volumi della la collana Ragnatele sono dedicati a Collodi, e il numero uno non poteva che essere Pinocchio. Ve lo offriamo con un invito, quello di leggerlo, o rileggerlo.

Pinocchio è in assoluto il libro più diffuso al mondo dopo la Bibbia, eppure pochi italiani l’hanno veramente letto: si accontentano di “conoscerlo” attraverso immagini, riassunti, citazioni, brani di antologia. Un po’ come si fa con la propria città. La si conosce per il fatto di abitarla, non si va in giro con la guida in mano per scoprirne la storia e le bellezze, la si dà per scontata e così si finisce col conoscerla meno di un visitatore occasionale. Ecco, noi “abitiamo” Pinocchio, il suo villaggio, la sua osteria, il campo dei miracoli e infine il pesce-cane da cui viene divorato e poi risputato salvo e finalmente saggio. Lo sappiamo e basta, che senso avrebbe leggerlo? Ma dalle prime pagine di questa storia apparentemente “risaputa” si scopre che vale la pena rileggerlo tutto, e proprio nella sua versione originale col testo di Collodi che non merita di essere semplificato, riassunto, straziato in tentativi di rimodernamento. Lo presentiamo in questa veste tascabile, ben curata come è giusto che sia.

Il secondo volume delle Ragnatele nasce da un’operazione di recupero e salvataggio. Infatti, dopo le numerose edizioni di fine ’800, il Giannettino di Collodi fu praticamente dimenticato dagli editori italiani, tant’è vero che non se ne trovano edizioni fino agli anni’40 del Novecento. Solo all’inizio della seconda guerra il povero ragazzo verrà rispolverato e sottoposto a una revisione con tagli e aggiunte anacronistiche, a uso e consumo della becera propaganda fascista, e ripresentato senza alcun commento per l’editore Carroccio, anno 1941. Purtroppo è quest’ultima edizione quella che è stata ripresa recentemente e trasformata in un ebook acquistabile online. Fin dalle prime pagine ci si accorge che il buon Collodi avrebbe di che rivoltarsi nella tomba per gli insulti alla sua prosa e ai suoi intendimenti. Per rendergli giustizia in qualche modo, abbiamo deciso di ripristinare l’originale, partendo da un micro-film di un’edizione del 1892, e svolgendo tutte le operazioni necessarie per arrivare a questa edizione filologica, perfettamente aderente alla scrittura dell’Autore. Questo volume rappresenta quindi l’unica (o la prima) edizione italiana moderna del Giannettino, nella quale sono sì evidenti gli intenti pedagogici e non mancano tratti di vera e propria pedanteria – si trattava di un testo ad uso scolastico –, ma corre sempre, sottile, la bella prosa di Collodi, la sua arguzia, l’ironia e spesso quel senso di ammiccamento tipicamente toscano, di chi sa prendere non troppo sul serio anche le cose “serie”.

Minuzzolo, il numero 3 è un personaggio comprimario di una serie, che diventa protagonista in una serie autonoma. Minuzzolo nei confronti di Giannettino, il personaggio principale, protagonista di numerosi romanzi scolastici di Collodi. Minuzzolo, compagnetto saputello e assennato, appare qua e là nel primo Giannettino, e poi lo troviamo alla stazione dei treni, per salutare l’amico ormai redento in partenza per un lungo viaggio premio insieme al suo tutore. È da lì che comincia questo libro, con la famiglia di Minuzzolo – padre, madre e quattro figli maschi che torna un po’ malinconica a casa dalla stazione, e in breve tempo organizza una sua propria vacanza, in villeggiatura in una fattoria non lontano dalla città, raggiungibile in carrozza con due giorni di viaggio. Durante il viaggio e il soggiorno Minuzzolo e i suoi fratelli, insieme con i genitori, qualche animale e altri personaggi del villaggio approfittano di ogni occasione per ripassare la Storia, dai miti all’unità d’Italia, con qualche digressione nei campi della scienza, della botanica e della tecnologia, e naturalmente con numerose lezioni di comportamento. Anche in questo caso, solo la qualità della prosa di Collodi, arguta e piacevole e mai troppo pedante riesce a trasformare un romanzetto edificante di fine Ottocento in una lettura scorrevole e a tratti divertente. La prima edizione del Minuzzolo risale al 1878, tre anni prima della comparsa del capolavoro di Pinocchio. Ci fa piacere inserire anche questo libro nella piccola scelta di opere di Collodi, come numero 3 della collana Ragnatele

Concludiamo con il numero 4 in una raccolta di favole, molte delle quali fanno parte ormai del patrimonio della letteratura per l’infanzia, sebbene in versioni più o meno edulcorate (vedi Cappuccetto Rosso). Nel 1875 l’editore Felice Paggi diede incarico a Collodi di tradurre in italiano una raccolta di fiabe di Perrault e altri autori francesi. A quanto pare Collodi si appassionò al genere, tanto da aggiungervi qualcosa di suo come precisa nella sua Avvertenza e da intraprendere la strada della narrativa per ragazzi che lo porterà fino al capolavoro di Pinocchio. I Racconti delle Fate viene cronologicamente prima degli altri libri che compongono questa mini raccolta: lo abbiamo inserito per ultimo (numero 4 delle Ragnatele) come ulteriore omaggio a uno degli inventori della letteratura pedagogica, che anche nelle fiabe non perde occasione per introdurre insegnamenti morali più o meno espliciti, all’interno di storie spesso molto cruente, ma sempre col suo tipico condimento di arguzia e ironia.

 

Ancora Donne

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Ancora due volumi ad arricchire la nostra collana dedicata alle donne. Si tratta di un diario della scrittrice Anne Morrow Lindberg – già tra i nostri Numeri Dueche racconta una trasvolata transpolare del 1931 in cui accompagnò suo marito Charles Lindberg con il ruolo di marconista e di ufficiale di rotta del loro piccolo idrovolante alla ricerca di una rotta commerciale tra Usa e Oriente. La protagonista è proprio lei Anne, una donna coraggiosa e intraprendente che si conquista il secondo volume di questa collana.

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(In catalogo)

Il terzo volume è di Matilde Serao che ci racconta di Napoli in due opere differenti e contrastanti, unite in un unico volume. La prima, in una prosa delicata e onirica ci guida fino alle leggende della fondazione, alla figura di Partenope, una sirena greca raffinata e bellissima che cosparge di passione il golfo e le colline e ne fa nascere la “Città dell’amore”. La seconda opera, invece di taglio quasi giornalistico, ci porta per mano a conoscere le strade di una città ormai vissuta, sfruttata, aristocratica e stracciona, quella di fine Ottocento che si prepara a diventare la Napoli che conosciamo tutti, con i suoi stereotipi e le sue contraddizioni, ma col suo “ventre” materno e accogliente, specie per merito delle figure femminili che la popolano e la sorreggono.

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 (In catalogo)

 

Fiabe Memorabili 2018

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 Un calendario fuori dalla morale

Cosa c’è di più complicato dell’argomento “fiabe” per un calendario? A meno che, certo, non si voglia cadere nello stereotipo.

 Pensandoci bene, Clarissa Pinkola Estésle in “Donne che Corrono coi Lupi” analizza il messaggio delle fiabe che leggiamo, narriamo e conosciamo a memoria  come una potente arma del potere. Potere specialmente maschile, che è stato perpetrato in secoli di tradizione orale: principi che baciano donne addormentate indifese, mariti tirannici che uccidono le mogli disobbedienti, donne premiate per la loro sottomissione con un matrimonio che le condannerà a una nuova sottomissione. 

 E una morale, sempre la stessa: comportati bene, sii modesto e umile e vivrai felice e contento. Sarebbero state diverse se a scriverle fossero state le donne? Da qui l’idea per la serie di 12 illustrazioni che compongono questo calendario 2018: in chiave immorale o almeno senza quella morale che ci costringe a crescere secondo un senso comune.

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BarbabluBarbablu

Scarpette Rosse

illustrazioniparetecenerentolaCenerentola

illustrazioniparetebiancaneveBiancaneve

illustrazioniparetepiccolafiammiferaia La piccola fiammiferaia

illustrazionipareteaddormentataLa bella addormentata nel bosco

illustrazioniparetesirenetta

La Sirenetta

illustrazioniparetepinocchioPinocchio

illustrazionipareteilbruttoIl brutto anatroccolo

illustrazioniparetecicalaLa cicala e la formica

illustrazioniparetealiceAlice nel paese delle meraviglie

illustrazioniparetecappuccettoCappuccetto rosso

Le illustrazioni pubblicate su questo sito sono di mia originale produzione e proprietà intellettuale. 

Puoi utilizzare questi materiali per uso non commerciale e senza manipolazioni, solo se citi esplicitamente il mio nome con il link alla pagina che stai guardando.

Segui il link per avere maggiori informazioni o scrivi a info@xedizioni.it per le singole stampe

Enrica

enricamassidda.com

Da un viaggio non si torna, si arriva

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Copio il titolo da un post di Leo su Facebook perchè trovo che sia perfetto per il mio articolo.

Rientro in studio dopo un lungo periodo di pausa dopo diverse vicissitudini che mi hanno indotto a rivoluzionare la mia vita, ma non è di questo che intendo parlare ma sicuramente da questo ho tratto spunto anche per il mio lavoro, spingersi oltre un confine di regole prestabilite mi ha sicuramente fatto capire che le paure sono sempre più dei pericoli reali.

Così mentre agosto incalzava feroce sui muri della città

 

wallio leggevo un’introvabile edizione di Steinbeck “in viaggio con Charley” e Charley manco a dirlo somiglia tanto a Lasco dalle descrizioni, sopratutto un cane che sa negoziare… Ed io sono identica alla descrizione della gente che Steinbeck incontra nei paesi e nelle cittadine in cui si ferma: “… vedevo nei loro occhi qualche cosa che avrei rivisto tante volte in ogni parte del paese… un desiderio rovente di andare, di muoversi, di mettersi in cammino dovunque via da ogni QUI. Non verso qualcosa ma via da qualcosa”. Incoraggiata da un amico prendo la macchina, Lasco e il nécessaire per entrambi, ci imbarchiamo per Genova, passiamo il traforo e inizia un lungo viaggio…

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Mi viene in mente la storia di Emigre che conobbi tanti anni fa leggendo un libro del Saggiatore “Il Tipografo, mestiere d’arte”. Emigre è ancora oggi una rivista dedicata al design grafico, nasce a San Francisco dall’incontro di VanderLaus e due artisti olandesi per dare voce a tutti gli emigrati olandesi che vivevano in California ma presto divenne una piazza aperta a chiunque avesse articoli interessanti da pubblicare, fotografi, architetti, poeti, grafici… era il 1984 e fu la prima fonderia digitale, con i primi mac disegnarono illustrazioni rudimentali e i primi caratteri digitali. Ancora ben lontana l’era di photoshop, VanderLaus utilizzò un metodo semplice per comporre le foto, strappandole e ricomponendole nell’impaginato. Il testo era dattiloscritto, fotocopiato, ridimensionato, ritagliato e incollato. Una vera e propria rottura con gli schemi classici grafici e tipografici.

emigre2Dai più conservatori criticata per essere visivamente incoerente e priva di senso della storia.

Così, strappo, taglio, ricompongo, contaminazioni di vite, lingue, culture.

È un lavoro lungo questo e poi si rischia comunque di finire sempre in un ondata di manierismo.

Lo stesso VanderLaus nel 2003 fece uscire il n°64 di Emigre con il titolo RANT

rant(dichiarazione di principio) e diceva così:

“La grafica da sola non può fare molto. La grafica come tutto il resto è fatta di idee, è la manifestazione visiva di un pensiero. La grafica non è sovversiva, sono le idee ad esserlo. La grafica, la tipografia sono semplicemente un mezzo per rendere quelle idee visibili. Se usata male può ucciderle o renderle inefficaci”.

Enrica

 

per approfondire

http://www.emigre.com/EmigreCatalog.php

 

 

Una Donna

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Pensiamo che non si possa iniziare una collana al femminile, dedicata alle donne che hanno cambiato la vita delle Donne, senza dedicare il primo numero a Sibilla Aleramo. Una donna è stato pubblicato da diversi editori nel corso di un secolo dalla prima edizione (1907), e non c’è alcun dubbio che ancora oggi riveli una forza eversiva, ancora difficile da accettare per il senso comune.

Si potrebbe dire che si tratta di un romanzo autobiografico avente come nucleo centrale la maternità. Oppure si può leggerlo come il resoconto di vita di una delle prime vere femministe militanti italiane, decisa a non farsi ingabbiare dai ricatti e dalle violenze di una società maschilista e familista. Ci si può stupire di come appaia dura, a tratti implacabile la protagonista, ma si tratta di una coerenza intellettuale di cui ancora oggi sono rari gli esempi.

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Illustrazione e lettering di Enrica Massidda

 

 

Sibilla Aleramo ha lasciato un’enorme eredità di scritti, appunti, lettere, diari, ritagli di giornali tutti annotati e catalogati meticolosamente. Questo patrimonio, insieme con i suoi libri, costituisce un archivio che fu donato alla Fondazione Gramsci prima della morte della scrittrice. Lo scopo dichiarato era quello di permetterne la divulgazione, la ricerca e la conservazione attraverso un’istituzione culturale non commerciale.

Con questo spirito di conservazione e divulgazione rendiamo disponibile questa edizione economica del suo primo romanzo, basata sul testo distribuito attraverso il progetto Gutenberg, rieditato e impaginato in questo formato tascabile, con la convinzione che possa ancora essere un aiuto, un apripista per la consapevolezza del ruolo femminile nella società.

Per l’immagine di copertina è stata realizzata un’illustrazione che interpreta Biancaneve come metafora della sottomissione e fragilità della figura femminile nelle fiabe e nella cultura popolare. 

(In catalogo)

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Mock up Cover

 

AMORE E RIVOLUZIONE

Varvara Stepanova

Varvara Stepanova

Vi segnaliamo l’apertura di una mostra al MAN di Nuoro dal 1°Giugno

AMORE E RIVOLUZIONE, coppie d’artisti dell’avanguardia Russa

Nell’anno del centenario della rivoluzione d’ottobre per amanti della storia dell’arte, ma anche di appassionati di storia del Novecento, di comunicazione, design e fotografia, la mostra intende raccontare lo stretto legame tra arte e vita che le diverse coppie si trovarono a sperimentare, in una fase di intensa collaborazione e di grande impegno, sia artistico, sia politico.

 

non solo editori

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Lo scorso fine settimana ho partecipato con le mie illustrazioni all’esposizione organizzata da Artelier 63 per questa primavera. Un gruppo di pochi creativi riuniti e spinti dalla forte energia di Giovanna e Federica.  Abbiamo avuto il riconoscimento di un grande pubblico e ormai vi sarete accorti che l’illustrazione e il visual design sono tra le nostre principali attività insieme all’editoria rivolta alle nicchie dalle piccole tirature; il nostro calendario è ormai atteso ogni anno e una delle illustrazioni del 2016 è stata selezionata e inserita nella prestigiosa galleria dell’American Illustration (che ancora mi tremano le ginocchia). Tutto questo non sarebbe possibile senza il contributo di mani e menti preziose, degli stimoli e le ispirazioni che arrivano da un libro o un film consigliato, una conversazione costruttiva, e per me in genere lo sono quelle che non hanno nessun interesse se non quello di un passaggio di informazioni che siano emotive o estetiche. In questi giorni dell’esposizione ho avuto modo di ascoltare diversi pareri e per alcuni non c’è niente di lieto da rappresentare  ma solo da contestare e certamente indurre a pensare condivido in parte ma cerco di infilarmi lo stesso in una zona libera dove posso prendere e trasformare ciò che è in ciò che vorrei. Un teatro variegato dove la finzione diventa realtà e non ci sono protagonisti e comparse.

Vi racconto in queste immagini Il nostro lavoro senza cantarcela troppo e continuando la nostra grande impresa, quella di farlo con gran piacere. Nella pagina di Artelier 63 troverete invece, le foto dell’evento e tutte le informazioni dei partecipanti.

Enrica 

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I laboratori di Duplex per la stampa serigrafica

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(l’esposizione all’Artelier 63)

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Moomin

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Nel 1969 io non c’ero ancora… sarei arrivata più tardi e avrei iniziato a leggere il corriere dei piccoli e guardare i buoni manga in tv, si proprio quelli diseducativi. Ma ho avuto la fortuna di mettere le mani su questa copia di Linus qualche giorno fa e non casualmente leggere i Moomin nati dalla mente e la mano di Tove e Lars Janson; Poche strisce con un sacco di storie che dovrebbero leggere tutti, specialmente dopo essere stati bombardati da serie tv americane e manga giapponesi dove tutto è terribilmente vero.

Condivido con piacere dopo averle digitalizzate :)

Enrica

Moomin

 

 

Un grafico esistenzialista

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Ho letto di recente un bell’articolo dal titolo “il graphic design tra automazione e relativismo” e vorrei riportavi alcune parti su cui mi sono soffermata raccontandovi una breve storia che mi riguarda e ci riguarda tutti.

Poco tempo fa ho ricevuto un messaggio di un parenteamico e anche se cado spesso dal pero, so che non sono mai buone nuove quando il parenteamico si decide a scriverti per la prima volta in vita sua e per lavoro.
 
Una mail lunga e corposa mi elencava una serie di attività legate alla psicoanalisi e all’arte che si potrebbero riassumere in  una fiera del “libera il tuo vero es”, e che concludeva: “fammi sapere cosa ne pensi, e qual’e’ la tua parcella per un provino/bozza. Io sono completamente alle prime armi nel campo della libera professione e non ho molta familiarita’ con tutto cio’ che concerne visibilita’ e marketing per cui inevitabilmente posso solo procedere per tentativi! :)

Ricordo che diversi anni fa un mio ex collega di studi, scrisse ironicamente il decalogo per far impazzire un grafico in 10 punti. Solo la prima mail li aveva sintetizzati tutti.

Il parenteamico non aveva nessuna idea di cosa fossero visibilità e marketing (molti addetti di settore ancora non distinguono il graphic design dalla pubblicità) e quindi quel che è peggio nessuna idea del mio lavoro e su come applicarlo. Ma io difficilmente schivo la trappola. La osservo la identifico e  davanti a me  c’è tutto l’epilogo della storia ma alla mia età ho ancora bisogno di fare esperienza… mi considero una junior, colpa del rifiuto della contingenza o delle mie amiche mamme super efficienti, m’inganno di poter risolvere tutto come loro. Così rispondo alla mail lasciando che  il mio cuoricino si apra al problem solving.

Illustrazione1“Ciao Dolores (la chiamerò Dolores mi sembra appropriato)
grazie per le informazioni, mi sembra di capire che vorresti un’immagine che coordini tutte le tre attività con nomi diversi. Ma non hai ancora i nomi (…) magari potremmo concentrarci su quella che pratichi di più”.

Insomma tra una mail di complimenti, e inutili imitazioni di management tra parenti le prometto delle bozze a Natale quando tornerà nella terra natia per le vacanze. Già perchè il parenteamico vive in una grande metropoli multietnica dove come scoprirò più avanti conosceva alla perfezione le tendenze di mercato. Ma a Natale non avevo nulla da presentare ed è vero che i mesi precedenti ho praticamente dormito in ufficio per poter adempiere a tutte le scadenze ma in verità non avevo nessun progetto su cui lavorare. Una mera risoluzione pratica ovvero un obbiettivo da raggiungere, una parola, un pensiero da trasformare in immagine o in lettera. Dovevo inventarmelo e le tecniche di rappresentazione avrebbero fatto il resto, in questo caso le tecniche pubblicitarie sono di grande utilità. Ma non sarebbe stata facile, lo avevo intuito da come il parenteamico rispondeva alle mail iniziando con “mia cara”… ma come mia cara? A una certa età quando si parla di lavoro non importa quale sia il grado di conoscenza tra voi, diventi “mia cara” e a scriverti è il suo capo.
In seguito a un  breve incontro dopo Natale mi misi a lavoro. Tra i miei colleghi ci sarà qualcuno che pensa che queste cose non succedono ai professionisti, perché un vero designer è duro e screma i clienti e conosce i suoi diritti e i suoi doveri ed è vero io sono un esistenzialista di professione e rifiuto qualsiasi clichè, metto sempre tutto in discussione… (un eroe).

Illustrazione2Mi sentivo un eroe anche quando volevo portare Max Uber e Depero Futurista dentro il Cagliari Calcio.  Avete mai sentito parlare del medico di Spoon River?  
Lasciamo perdere è che non riesco ad adempiere alle regole del manuale di come trattare la committenza, in genere mi perdo al terzo punto che inizia a parlare di fidelizzazione.
Oppure è  la competitività che mi manca, la strategia ma in compenso molta abnegazione. Poi ho quella cosa, la sindrome dell’impostore, e continuo a fare workshop a Milano, lo faccio anche perché mi piace leggere in metropolitana, il riscaldamento nelle case dei miei amici dove mi piazzo in salotto e bere un Negroni con le mie amiche servito da una cameriera anoressica in short inguinali.

Ma tornando al graphic design mi piace quella parte dell’articolo di Silvio Lorusso che ho citato all’inizio, quando parla della cultura popolare del graphic designer e della bomba innescata dal buon senso promosso dal designer autentico che si difende dal design diluito, quello che tra un foglio excel e l’altro piazzo la presentazione e faccio il loghetto che così tutti hanno imparato l’indignazione nei confronti del comic sans e che allineare a destra solo in casi eccezionali. Mi sono spesso trovata davanti a un cliente che controlla gli allineamenti come la maestra delle elementari quando si camminava in fila per due…
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Cagliari più di qualsiasi altra città del sud Italia è considerata un posto dove si va in giro in ciabattine tutto l’anno, si beve birra al poetto e tutti sono felici. La prima cosa che mi dicono appena scendo dall’aereo, con un bel sorrisone è: «Si sta bene a Cagliari eh?» Come se vivessi in un atollo delle Maldive e quel sorrisone sottintende «Non fate un cazzo vero?». Allora, è vero che siamo poco più di un milione e mezzo di abitanti in tutta l’isola, c’è terra in abbondanza e non girerebbero mai qua il sequel di Metropolis, ma questo non dovrebbe diventare un fattore discriminante. Eppure anche il parenteamico che vive in una grande città scelse di rivolgersi a me perché “tu hai lavorato anche a Milano”.  Ma se il design è ideologicamente un modo di pensare,  poche volte ho trovato differenza tra Milano e Cagliari e le differenze sono nelle strutture aziendali volte all’efficienza produttiva non certo a rinnovare o creare.

Alla fine proposi al parenteamico una serie di illustrazioni surreali da utilizzare come delle carte. Erano talmente tanti e astratti gli argomenti trattati  che ogni illustrazione poteva racchiuderli tutti e quindi essere utilizzata singolarmente. Il mio intento era di trovare un modo di pensare comune che la aiutasse a trovare una soluzione o un’ispirazione. Questo è il mio approccio in genere perché mi riesce molto bene sviluppare un’immagine più che cercare di istruire le persone sul mio lavoro. Nel caso di un editore per disegnare una collana o con un art director per un’illustrazione i passaggi sono molto più veloci perché si parte da un progetto strutturato e più o meno si ha lo stesso punto di vista, o meglio si parte dalla stessa scuola di pensiero. Ma l’unico modo per procedere fuori dall’ambito editoriale è spesso proporre la mia interpretazione delle informazioni ricevute e non solo quelle verbali ma anche estetiche e intellettuali e quindi  si basa anche sulla condivisione del modo e del pensiero del mio interlocutore. Ed è certo con le persone più belle e prive di pregiudizi che  il lavoro giunge a buon fine. illustrazione4

Enrica

 

 

 

Voli

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Proprio questi giorni l’Unione Sarda riporta la notizia del progetto di una nuova portaerei nell’isola di Santo Stefano, proprio in un momento in cui si pensava di essere giunti ad un ridimensionamento delle servitù militari. Il 14 Agosto, in Yemen  sono morti 28 bambini nel bombardamento di una scuola . Il 18 il bersaglio è stato un ospedale di Medici Senza Frontiere e molte di queste  bombe sono “made in Sardinia” di una ditta tedesca. Oggi un bambino di cinque anni è stato ritrovato vivo sotto le macerie dopo un raid aereo ad Aleppo e la lista potrebbe continuare e mi viene da parafrasare De Andrè… “vagli a spiegare che è estate…”

Enrica

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Summertime (appunti visivi)

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C’è un tempo molto lento, profuma di sale e creme solari. E’ il tempo del mare in agosto, a Cagliari e sembra che in nessun altro posto vorresti essere nata. E urla agosto in spiaggia ma solo a 200 metri a largo in silenzio, mistifica ogni cosa, ogni rapporto, la bellezza esula dal contenuto e brilla in un mare smeraldino.


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Enrica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Summertime Salon

VENTRE-TORTUE, 1986

La mostra annuale della Robin Rice Gallery “Summertime Salon” presenta il lavoro di 53 artisti che evocano l’estate. Sarà aperta a New York sino all’11 Settembre ma potete visitare la galleria virtuale cliccando qua, o sull’immagine, enjoy!

VENTRE-TORTUE, 1986

 

GLADYS
VENTRE-TORTUE, 1986
GELATIN SILVER PRINT 

Senza famiglia

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senzafamiglia

Mentre passeggiavo con Lasco intorno a casa mi è comparsa all’improvviso un’enorme insegna su una parete bianca: logotipo e marchio di una casa di cura formato da una spirale di petali su un nome esotico, ben impostati e sapientemente composti.

Prima c’era la tipografia come punto di riferimento per qualsiasi piccola impresa si volesse intraprendere.

Il calzolaio andava nella tipografia di quartiere e commissionava la sua insegna e così il panettiere, il barbiere… non c’era bisogno di rivolgersi ad uno studio di progettazione grafica, per comunicare che cosa? Qua non si tagliano solo i capelli ma si fa dello style e ora che mio cugino mi ha confezionato un bel logotipo stile vintage con quella font troppo figa, posso giustificare quei 50 per taglio e piega.

Pacchetti di marchio+logotipo+naming per tutti in città, in provincia, ovunque: petali, baffi, polaroid, post-it per la reificazione del nulla, più o meno corsivo, con il payoff, il claim, scopiazzato, aggiustato, incollato per risolvere tutto in un’enorme sciarada.

Trasformiamo le tue idee in soluzioni visive, idee efficaci e innovative… ma perché una panetteria di un paese del medio campidano dovrebbe chiamarsi Pans? E il dentista dovrebbe far animare i molari della sua insegna in una danza della libertà? Quali messaggi si celano dietro questo tipo di comunicazione? Ed è veramente necessaria? Non sarebbe meglio e più rispettabile un bel testo nero su fondo bianco che dice Dentista o Studio Dentistico?

Io non lo so come si sia arrivato a questo; come la nuova generazione di progettisti grafici si sia ridotta a tradurre qualsiasi tipo di idea in immagine. Qualsiasi tipo di azienda in una brutta imitazione di Brand, in un sorriso gratuito per tutti. Ma è chiaro a tutti che quando il conto è in rosso, non si rifiuta nulla. Così non ci rimane che quest’orgia di caratteri, senza famiglia, senz’anima, accostati ai più svariati disegni vettoriali: nuraghi e bronzetti su tutto il materiale vernacolo che si può produrre. Spirali di comete e di fiori come simbolo del centro estetico e per l’avvocato? Vediamo cosa fanno quelli più in vista e lo facciamo anche noi.

Enrica

Far fuori un’idea

ideacreativa

ideacreativa

 

 

Oggi guardando questo video mi sono tornate alla mente le prime lezioni di Basic Design il primo anno a Milano con il Professor Giorgio Lorenzi che tra carte colorate, cut e colla ci insegnava a guardare e ad utilizzare il disegno di una lettera per comporre un buon lettering. Si poteva giocare con infinite composizioni e il risultato era sempre sorprendente: in questa pagina di Picame potete vedere alcuni esempi . 

Ho provato a cercare la definizione di Basic Design su wikipedia e ho trovato questa: È un insieme di fondamenti teorici finalizzati al dare “forma” agli oggetti, fornendo quella sicurezza formale che, è opinione diffusa, differenzia i progettisti che la padroneggiano da quelli che la ignorano. 

Vi stupirete leggendo questo articolo di Nuovo e Utile nel sapere che il valore della produzione culturale e creativa italiana è di circa 46,9 miliardi di euro. Sono un milione di posti di lavoro, anche il nostro. Guardando il video illustrato da Nicola Basile con i testi e la voce di Annamaria Testa molti di voi ci si ritroveranno. E forse vi aiuterà a raggiungere un ottimo risultato nella prossima collaborazione con un creativo che deve realizzare il poster del festival della vostra associazione o progettare, ridisegnare il marchio dell’azienda di famiglia.

Enrica

 

 

Julia Fullerton-Batten

The Wedding Day

 The Wedding Day

Questa settimana la nostra terza pagina è per Julia Fullerton-Batten, una fotografa tedesca che ha un occhio affilato come un bisturi. Luoghi insoliti, modelli di strada, fasi e situazioni di transizione, sono rappresentati in questi scatti quasi cinematografici e surreali. Scorrere la sua Gallery è percorso emotivo con un pizzico di mistero…

Tavole anatomiche di Leonardo

Recto: The muscles of the back and arm. Verso: Studies of the in

Recto: The muscles of the back and arm. Verso: Studies of the inUna delle tendenze più interessanti nell’ambito dei musei e delle librerie è quella di digitalizzare i propri documenti e renderli disponibili in free download, nel nostro piccolo lo facciamo anche noi mettendo a vostra disposizione molto materiale digitalizzato e scaricabile gratuitamente nell’area download e condividendo i preziosi archivi della rete. Come questo link  della Royal Collection Trust di Buckingham Palace, a Londra, che ha messo a disposizione  un corposo insieme di appunti e di schizzi, datati intorno alla fine del 1400, che Leonardo da Vinci aveva dedicato alla rappresentazione anatomica del corpo umano. Tutte le tavole sono disponibili e scaricabili gratuitamente in alta risoluzione. 

L’Isola dei Metalli

Rodmund2

Rodmund

Nella raccolta “Il sistema periodico”, 21 racconti che Primo Levi dedica ad altrettanti elementi chimici, a un certo punto si parla di Sardegna. Il racconto in questione è “Piombo” (scritto nel 1940), e la zona di cui si parla è il Sulcis, e non poteva essere altrimenti. Il personaggio che racconta in prima persona è un certo Rodmund che viene da un Paese nordico imprecisato, in un tempo imprecisato immerso nella leggenda. Rodmund è appunto un cercatore di piombo. Quello che segue è un breve estratto.

“… Su un punto erano tutti d’accordo, e cioè che navigando verso sud, chi diceva mille miglia, chi ancora dieci volte più lontano, si trovava una terra che il sole aveva bruciata in polvere, ricca di alberi ed animali mai visti, abitata da uomini feroci di pelle nera. Ma molti avevano per certo che a metà strada si incontrava una grande isola detta Icnusa, che era l’Isola dei Metalli: su quest’isola si raccontavano le storie più strane, che era abitata da giganti, ma che i cavalli, i buoi, perfino i conigli e i polli, erano invece minuscoli; che comandavano le donne e facevano la guerra, mentre gli uomini guardavano le bestie e filavano la lana; che questi giganti erano divoratori d’uomini, e in specie di stranieri; che era una terra di puttanesimo, dove i mariti si scambiavano le mogli, ed anche gli animali si accoppiavano a casaccio, i lupi con le gatte, gli orsi con le vacche. […]

Altri ancora raccontavano che lungo le sue coste ci sono fortezze di pietra, grandi come montagne; che tutto in quell’isola è fatto di pietra, le punte delle lance, le ruote dei carri, perfino i pettini delle donne e gli aghi per cucire; anche le pentole per cucinare, e addirittura che hanno pietre che bruciano, e le accendono sotto a queste pentole; che lungo le loro strade, a sorvegliare i quadrivi, ci sono mostri pietrificati spaventosi a vedersi.

Queste cose io le ascoltavo con compunzione, ma dentro di me ridevo a crepapelle, perché ormai il mondo l’ho girato abbastanza, e so che tutto il mondo è paese. Sul fatto dei metalli, però, erano tutti d’accordo; molti mercanti e capitani di mare avevano portato dall’isola a terra carichi di metallo greggio o lavorato, ma erano gente rozza, e dai loro discorsi era difficile capire di che metallo si trattasse: anche perché non parlavano tutti la stessa lingua, e nessuno parlava la mia, e c’era una gran confusione di termini.

 Dicevano per esempio «kalibe», e non c’era verso di capire se intendevano ferro, o argento, o bronzo. Altri chiamavano «sider» sia il ferro, sia il ghiaccio, ed erano cosi ignoranti da sostenere che il ghiaccio delle montagne, col passar dei secoli e sotto il peso della roccia, si indurisce e diventa prima cristallo di rocca e poi pietra da ferro. Insomma, io ero stufo di mestieri da femmina, e in quest’Icnusa ci volevo andare. Ho ceduto al vetraio la mia quota dell’impresa, e con quel danaro, più quello che avevo guadagnato con gli specchi, ho trovato un passaggio a bordo di una nave da carico: ma d’inverno non si parte, c’è la tramontana, o il maestrale, o il noto, o l’euro, pare insomma che nessun vento sia buono, e che fino ad aprile la cosa migliore sia starsene a terra, ubriacarsi, giocarsi la camicia ai dadi, e mettere incinte le ragazze del porto.

 Siamo partiti ad aprile. La nave era carica di anfore di vino; oltre al padrone c’era un capociurma, quattro marinai e venti rematori incatenati ai banchi. Il capociurma veniva da Kriti ed era un gran bugiardo: raccontava di un paese dove vivono uomini chiamati Orecchioni, che hanno orecchie così smisurate che ci si avvolgono dentro per dormire d’inverno, e di animali con la coda dalla parte davanti che si chiamano Alfil e intendono il linguaggio degli uomini.

 Devo confessare che ho stentato ad avvezzarmi a vivere sulla nave: ti balla sotto i piedi, pende un po’ a destra e un po’ a sinistra, è difficile mangiare e dormire, e ci si pestano i piedi l’un l’altro per mancanza di spazio; poi, i rematori incatenati ti guardano con occhi così feroci da farti pensare che, se non fossero appunto incatenati, ti farebbero a pezzi in un momento: e il padrone mi ha detto che delle volte succede. D’altra parte, quando il vento è propizio, la vela si gonfia, e i rematori alzano i remi, sembra proprio di volare, in un silenzio incantato; si vedono i delfini saltare fuori dall’acqua, e i marinai sostengono di capire, dall’espressione del loro ceffo, il tempo che farà domani.

 Siamo arrivati in vista dell’isola dopo undici giorni di mare. Siamo entrati in un piccolo porto a forza di remi: intorno, c’erano scoscendimenti di granito, e schiavi che scolpivano colonne. Non erano giganti, e non dormivano nelle proprie orecchie; erano fatti come noi, e coi marinai si intendevano abbastanza bene, ma i loro sorveglianti non li lasciavano parlare. Quella era una terra di roccia e di vento, che mi piacque subito: l’aria era piena di odori d’erbe, amari e selvaggi, e la gente sembrava forte e semplice.

Il paese dei metalli era a due giornate di cammino: ho noleggiato un asino col suo conducente, e questo è proprio vero, sono asini piccoli (non però come gatti, come si diceva nel continente), ma robusti e resistenti; insomma, nelle dicerie qualcosa di vero ci può essere, magari una verità nascosta sotto veli di parole, come un indovinello.

 Per esempio, ho visto che era giusta anche la faccenda delle fortezze di pietra: non sono proprio grosse come montagne, ma solide, di forma regolare, di conci commessi con precisione: e quello che è curioso, è che tutti dicono che «ci sono sempre state», e nessuno sa da chi, come, perché e quando sono state costruite. Che gli isolani divorino gli stranieri, invece, è una gran bugia: di tappa in tappa, mi hanno condotto alle miniere, senza fare storie né misteri, come se la loro terra fosse di tutti. Il paese dei metalli è da ubriacarsi: come quando un segugio entra in un bosco pieno di selvaggina, che salta di usta in usta, trema tutto e diventa come stranito.

 È vicino al mare, una fila di colline che in alto diventano dirupi, e si vedono vicino e lontano, fino all’orizzonte, i pennacchi di fumo delle fonderie, con intorno gente in faccende, liberi e schiavi: e anche la storia della pietra che brucia è vera, non credevo ai miei occhi. Stenta un po’ ad accendersi, ma poi fa molto calore e dura a lungo. La portavano là di non so dove, in canestri a dorso d’asino: è nera, untuosa, fragile, non tanto pesante.

 Dicevo dunque che ci sono pietre meravigliose, certamente gravide di metalli mai visti, che affiorano in tracce bianche, viola, celesti: sotto quella terra ci dev’essere un favoloso intrico di vene. Mi sarei perso volentieri, a battere scavare e saggiare: ma sono un Rodmund, e la mia pietra è il piombo. Mi sono subito messo al lavoro. Ho trovato un giacimento al margine ovest del paese, dove penso che nessuno avesse mai cercato: infatti non c’erano pozzi né gallerie né discariche, e neppure c’erano segni apparenti in superficie; i sassi che affioravano erano come tutti gli altri sassi.

 Non so dire come, ma proprio lì era il piombo, lo sentivo sotto i miei piedi torbido velenoso e greve, per due miglia lungo un ruscello in un bosco dove, nei tronchi fulminati, si annidano le api selvatiche. In poco tempo ho comperato schiavi che scavassero per me, ed appena ho avuto da parte un po’ di danaro mi sono comperata anche una donna. Non per farci baldoria insieme: l’ho scelta con cura, senza guardare tanto la bellezza, ma che fosse sana, larga di fianchi, giovane e allegra.

 L’ho scelta cosi perché mi desse un Rodmund, che la nostra arte non perisca; e non ho perso tempo, perché le mie mani e le ginocchia hanno preso a tremare, e i miei denti vacillano nelle gengive, e si sono fatti azzurri come quelli del mio avo che veniva dal mare. Questo Rodmund nascerà sul finire del prossimo inverno, in questa terra dove crescono le palme e si condensa il sale, e si sentono di notte i cani selvaggi latrare sulla pista dell’orso; in questo villaggio che io ho fondato presso il ruscello delle api selvatiche, ed a cui avrei voluto dare un nome della mia lingua che sto dimenticando, Bak der Binnen, che significa appunto «Rio delle Api»: ma la gente di qui ha accettato il nome solo in parte, e fra di loro, nel loro linguaggio che ormai è il mio, lo chiamano «Bacu Abis».”

Leonardo Mureddu

http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/9723

L’illustrazione è di Enrica Massidda

Donne Memorabili 2016

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Per chi non ha ancora il nostro calendario, per chi è curioso e non lo ha trovato più in libreria: può scaricarlo gratuitamente in formato digitale, da stampare, ritagliare, incollare… o appendere!

 

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Ogni tavola è una donna, nella sua estrema complessità trasformata in pochi tratti e pochi colori, alcuni simboli evidenti, altri nascosti da leggere e rileggere. Facci sapere cosa ne pensi, e quale preferisci. Grazie!

 

Una sola coperta

UnaSolaCoperta

UnaSolaCoperta 

L’anno scorso si è fatto tutto il commercio che si poteva intorno alla commemorazione della cosiddetta “Grande Guerra”, un’antipatica accezione che sembrerebbe poter attribuire un valore positivo a quella tragedia, ma che a me pare sempre un ossimoro. Nessuna guerra può essere grande, né bella, né giusta. Ma abbiamo bisogno di coprire di gloria i poveracci che ci lasciarono la vita o cospicue parti del loro corpo, e di innalzare altari, sacrari, ossari. A futura memoria.

Lo strombazzamento mediatico è terminato, di quella guerra non si parla più, ma cent’anni fa erano ancora lì, a marcire nelle trincee, italiani (uomini) contro austriaci (disumani), o viceversa a seconda della prospettiva, a coprirsi e proteggersi come potevano dal nemico, dal freddo e dalla stupidità umana. Rileggendo il Diario di un imboscato di Attilio Frescura, proprio all’inizio di marzo del 1916 salta fuori una paginetta che racconta della quotidianità, della situazione disumana in cui tutti stavano, della solita burocrazia che ha sempre ragione sul buon senso. Siamo sull’Altopiano di Asiago, in piena offensiva austriaca:

 “1 Marzo 1916. – È arrivata una Brigata che ha in distribuzione una sola coperta. Qui fa un freddo cane e la coperta non basta. Si sono chieste coperte all’ufficio di Sanità, che ne ha in dotazione sei mila; ma l’Ufficio di Sanità le ha negate perché: “debbono servire per gli eventuali malati”. Ed ha ragione. È scritto. I soldati prendano il freddo e una brava polmonite. Si ammalino, insomma.

Allora l’ufficio di Sanità darà le coperte ai malati. E poi dicono che la burocrazia non è logica! Ci può essere, è vero, un piccolo dubbio: le coperte sono fatte per i malati o si debbono fare i malati, per le coperte? I carabinieri sono fatti perché ci sono i ladri, o i ladri perché ci siano i carabinieri? Oh, Amleto in grigio-verde !…

 Sempre a proposito di coperture, ecco pochi giorni dopo:

 “5 Marzo 1916. – Il colonnello comandante l’artiglieria da fortezza ha oggi dichiarato: – È impressionante come gli aeroplani nemici riescano, malgrado i mascheramenti, a individuare le nostre batterie. Nulla sfugge loro. È necessario ricorrere a mezzi semplici, diversi dai normali e che li disorientino. Perciò ho ordinato che si mascherino i “pezzi” sotto dei pagliai. Sfido gli aviatori nemici a immaginarvi sotto, l’affusto di un cannone!

Geniale idea! I covoni di paglia si trovano in pianura, dove la paglia si ricava – se non erro! – dal frumento … Ora, a duemila metri, sarà carino vedere, fra lo squallore della neve e dei pini, spuntare i gialli covoni dei pagliai. E gli aviatori nemici non lo capiranno mica! Nemmeno per sogno! Diranno: – Toh ! toh !… gli italiani hanno dissodato le Alpi! E i pini dànno… paglia! Oh, dolce paese dove fiorisce l’arancio in pianura e la paglia sulle Alpi!

 Sembra di leggere una pagina di Sturmtruppen. Ma quello era un fumetto, questa invece la Grande Guerra. (Leonardo Mureddu, l’illustrazione … una sola coperta è di Enrica Massidda))

 

Nuovi incontri, il picturebook

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Ulla Rhedin è una signora svedese di 70 anni, ha un viso rosa e le gote un po’ arrossate, indossa maglioni di lana coloratissimi ed è proprio felice di trasmettere le sue conoscenze. Sono stati quattro giorni intensi a parlare di picturebook che non siamo riusciti a tradurre in italiano perchè il picturebook non è l’albo illustrato, infatti nell’albo illustrato è il testo ad essere preponderante e le illustrazioni si basano quindi sul testo.

Per Ulla nell’autentico picturebook viene scelta la forma del layout, la disposizione e la dimensione variabile delle illustrazioni come una sequenza cinematografica le illustrazioni raccontano la storia, infatti non ci dovrebbero essere più di 150 parole. Sfogliare un picturebook deve emozionare e sorprendere e avreste dovuto vedere le sue espressioni mentre girava le pagine e ci mostrava il susseguirsi della storia.

Un esempio di un perfetto picturebook è quello di Maurice Sendak pubblicato per la prima volta nel 63 “Nel paese dei mostri selvaggi”

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Le inquadrature cambiano con le illustrazioni evocando le stesse emozioni di un’animazione. La storia si sviluppa in un mondo fantastico dove un bimbo si rifugia dopo aver discusso con la mamma. Moltissimi genitori non accettarono la storia definendola diseducativa e i tempi non sembrano poi così lontani visti gli schieramenti agguerriti di genitori moralisti e oscurantisti di questi giorni nelle piazze italiane.

Quello che mi ha colpita maggiormente è stato proprio questo suo modo di evidenziare le storie in cui il narratore si mette dal punto di vista dei bambini e quindi vive le loro paure e frustrazioni quotidiane. Per Sendak attraverso la fantasia i bambini giungono alla catarsi. Ecco perchè attravverso il picturebook si possono affrontare temi catastrofici e felici allo stesso modo, ma sempre con un linguaggio visivo a loro comprensibile, come in Sinna Mann tradotto in inglese Angry Man un bellissimo picturebook norvegese che parla di un bambino testimone delle violenze che il suo papà fa subire alla mamma. Boj si rivolge al Re, gli parla di uno spirito oscuro che si è chiuso dentro il suo papà. Il Re scuote la testa gli dice «non è colpa tua». Ordina a suo padre di inginocchiarsi davanti al piccolo e ora è Boj il grande.

Il linguaggio è sempre fantastico, animistico, casuale.

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Allo stesso modo Maira Kalman racconta con Fireboat l’11 Settembre e comincia illustrando la nascita dell’Empire State Building nel 1931 e continua con il completamento del ponte George Washington e la realizzazione del più grande e veloce fireboat della storia il John J. Harvey mostrando nelle illustrazioni le attrezzature, l’equipaggio, tra cui il cane Smokey. Velocemente arriva il 1995: New York sta cambiando, Le torri Gemelle sono ormai i più alti edifici di New York city, i moli stanno chiudendo e il fireboat va in pensione. Una notte un gruppo di amici decide durante una cena di far tornare il John J. Harvey alla sua gloria originale e successivamente il libro prende una brusca svolta. Un buco bianco su una pagina nera annuncia: “Ma poi l’11 Settembre 2001 è accaduto qualcosa di enorme e orribile che ha scosso il mondo intero e una sequenza di pagine affiancate mostra le torri letteralmente esplodere nel buio, pennellate rabbiose di nero e grigio e arancione, sono seguite da tanti eroi che entrano in azione tra cui il John J. Harvey.

Maira Kalman

anteprima

 

Tra i tanti modi per affrontare il progetto di layout abbiamo parlato della casa editrice indiana Tara Book che ha pubblicato un bellissimo picturebook nella tradizionale forma d’arte Warli Patua disegnato da due artisti bengalesi Joydeb e Moyne Chitrakar. Il picturebook scorre come nella tradizione Patua, si dispiega come una pergamena e racconta lo TZUNAMI che il giorno di Santo Stefano del 2004 ha colpito l’oceano indiano uccidendo più di 230.000 persone in 14 paesi.

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Nessuno di questi e altri magnifici picturbook sono stati tradotti o pubblicati in Italia, ma la stessa Ulla ci ha raccontato come anche nel Nord Europa sia difficile trovare un editore e di conseguenza un libraio che pubblichi e venda libri diversi, sperimentali e il motivo è noto: i numeri, la tiratura. Non c’è abbastanza richiesta perchè il libro si vende al genitore non al bambino e il genitore spesso con un moto di protezionismo oscura il dramma senza pensare quali strumenti potrebbe utilizzare per affrontarlo.

Così come per i romanzi nessun editore è così intraprendente da veicolare nuovi modi di raccontare o altre storie da raccontare che non siano forme di best seller e il risultato è quello di usare i vecchi cliché tanto comodi ai signori del marketing che si rivolgono ad un pubblico per compiacere e vendere, mai per provocare e diffondere cultura.

Mi dispiace concludere in questo modo amaro questa testimonianza e riflessione che spero vi abbia ugualmente riempito un po’ gli occhi e vi abbia ispirato come Ulla Redhin è riuscita a fare con me.

Enrica

le immagini di Sinna Mann utilizzate in questo articolo provengono dal materiale fornito da Ulla, l’immagine di Fireboat  dal sito di Maira Kalman e le immagini di TZUNAMI da theatlantic

Match Point

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Oggi per nessuna ricorrenza ma solo per gratitudine, voglio omaggiare Woody Allen. Lo faccio con due illustrazioni di un film che non è nemmeno il mio preferito ma che evoca  l’unica drammaticità che ammetto sul grande schermo e quella che la tv trappola di buonismo e di audience ignora totalmente. In Match Point non c’è niente di primordiale nell’assassinare con sofferto cinismo la bellissima Nola che rischia di diventare un ostacolo al brillante futuro di Chris, ma solo l’uomo moderno. Con questo non voglio che il blog di xedizioni diventi una rubrica di cinema, ma come graphic designer e illustratrice presentarvi le mie interpretazioni grafico visive e invitarvi ad amare Woody Allen o almeno a vedere Macht Point.

Enrica


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New York Public Library

Cercate di trovare il tempo per sfogliare questo immenso archivio di foto, illustrazioni, cartoline, atlanti… ben 180.000 di pubblico dominio che la New York Public Library condivide con tutti noi. Possono essere scaricate in alta risoluzione e riutilizzate senza nessuna restrizione.                 Go Forth and reuse!

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Donne, Anni Memorabili 2016

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CoverIl calendario di xedizioni, quest’anno alla terza edizione (sii resistiamo) è dedicato alle donne. Sono donne che ho letto, visto, sentito e che abbiamo ricordato per il loro modo speciale tutto femminile di stare al mondo. Le illustrazioni rappresentano nell’ordine:

Simone de Beauvoir, Yoko Ono, Alda Merini, Vivian Maier, Martha Graham, Marilyn Monroe, Zelda Fitzgerald, Coco Chanel, Mia Martini, Nico, Dora Maar, Liv Ullmann.

Sono una sintesi di ciò che maggiormente le ha caratterizzate nella loro vita, rappresentate talvolta ironicamente attraverso simboli e metafore visive. Anche la grafica è mia e non è un caso che abbia accostato una font “bastarda” che simula una bella grafia a una font che è diventata il dogma del Typedesign l’Helvetica. Ho voluto che anche nella composizione si alternasse la solidità e l’equilibrio con la leggerezza e il candore del corsivo come nelle mie donne.

La ricerca, la redazione e il sostegno creativo, intellettuale è di Leonardo e Guido e nostra è la stampa e il confezionamento. 

Ed è anche il classico regalo di Natale!

Enrica

Ne abbiamo stampato poche copie in un formato importante (cm 32×45) su carta pesante di qualità: piccole attenzioni per grandi protagoniste. Puoi acquistarne una utilizzando il pulsante qua sotto o scrivendoci al solito indirizzo: info@xedizioni.it

SPEDIZIONE

 

Simon 9 Gennaio 1908 nasce Simone de Beauvoir

Yoko18 Febbraio 1933 nasce Yoko Ono

Alda21 Marzo 1931nasce Alda Merini

Vivian 21 Aprile 2009 muore Vivian Maier

Martha11 Maggio 1894 nasce Martha Graham

marylin1 Giugno 1926 nasce Marilyn Monroe

Zelda 24 Luglio 1900 nasce Zelda Fitzgerald

Coco

19 Agosto 1883 nasce Coco Chanel

Mia

 20 Settembre 1947 nasce Mia Martini

Nico

 

 16 Ottobre 1938 nasce Nico

Dora

22 Novembre 1907 nasce Dora Maar

Liv

10 Dicembre 1938 nasce Liv Ullmann

 

 

Giocomix 2015

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Pochi giorni fa a Cagliari c’è stato il Giocomix, la fiera del fumetto, Oltre a professionisti e curiosi c’erano tanti adolescenti, autentici nerd che si occupano di problemi esistenziali e associano la loro personalità ai disegni e le vicende di supereroi, vampiri, maghi e streghe. Si aggiravano con parrucche colorate vestiti da cosplayer ed io ne sono rimasta totalmente ammirata. Per quella parte di loro che tenta di andare in direzioni diverse. 

Ci sono stata tutto il giorno, ho partecipato a 4 workshop e conosciuto fumettisti straordinari. Due tra i workshop sono stati molto interessanti: quello tenuto da Roberto Baldazzini  che ha parlato della sua professione raccontando una passione, il feticismo e la costanza legata al piacere. Ha raccontato di quanto sia stato utile copiare, ricalcare dalle foto per acquisire le regole dell’anatomia e le proporzioni e di come ha imparato a colorare con l’aiuto di un’amica. Parlando del lavoro su commissione ha raccontato della campagna Tim  e di come, con le furberie dello staff d’agenzia siano riusciti a manipolare i suoi disegni per tagliare i costi di produzione, appiattendo il colore o il tratto con i metodi low cost della pubblicità “maggiore resa con minima spesa”. Ancora mi chiedo dove vadano questi soldi risparmiati tagliati ai professionisti ma questo è un altro discorso. Quello che mi è dispiaciuto è che la comunicazione creativa di cui si avvale la pubblicità, quindi illustratori, fumettisti, artisti, scrittori, registi viene da questi snobbata come se la pubblicità fosse l’ultima spiaggia, quasi perdere la dignità professionale e umana. E se è vero che ora possiamo arrivare a risultati mediocri ma soddisfacenti attraverso i software, qualsiasi grafico può ricavarsi un’icona pop, credo che esista qualcosa di molto più importante, che renderebbe tutti più sereni: riconoscere il lavoro di un professionista, servirsene, valorizzarlo senza renderlo un orfano senza paternità e dignità.

Il secondo workshop a cui ho partecipato era di una mangaka (termine imparato e subito sfoggiato) giapponese di nascita ma in Italia da tanti anni Keiko Ichiguchi. Anche lei come Roberto è un’autodidatta, non conosce l’anatomia – motivo per cui il fumetto europeo condanna quello giapponese – ma indossa i guanti bianchi senza dita per disegnare e non sporcare il foglio e ovviamente io le ho voluto un gran bene per questo. È delicata, timida e mentre disegna con la webcam puntata addosso si chiede se per noi non sia noioso osservarla. Per fare dei tratti lunghi senza tremare occorre tenere il pennino fermo con forza per tavole e tavole sino a farle sanguinare il dito medio che ora storto ci mostra con dolcezza chiedendo scusa per il gesto. Mi viene in mente subito Mimi Ayuara con le catene ai polsi durante gli allenamenti di pallavolo. Guarda anche due film al giorno per studiare le inquadrature e trovare spunti per i suoi soggetti, adora il rumore del pennino che solca la carta, anche lei ci racconta di quando arriva in Italia e tentano di non pagarla perchè non prende accordi sulla remunerazione con l’editore che le commissiona il lavoro e anche qua mi dispiace per lo stesso motivo della pubblicità.

Queste giornate come quella trascorsa al Fruit di Bologna l’anno scorso oltre a mostrarmi nuovi punti di vista mi fanno star bene perchè ho la conferma che esistono persone che credono nel loro Dio interiore e caparbiamente impongono la loro volontà, il loro punto di vista, conoscono le risposte.

Enrica

Alice’s Adventures Under Ground

Le avventure di Alice Sotto Terra

Le avventure di Alice Sotto Terra

E’ ormai noto che la principale attività di questo sito è la condivisione, oggi vi proponiamo la versione originale del manoscritto di  ”Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol con 37 illustrazioni. 

Le avventure di Alice Sotto Terra

Questo manoscritto – uno dei più cari tesori della British Library – è la versione originale di Alice’s Adventures in Wonderland, di Lewis Carrol, pseudonimo di Charles Dogson, matematico di Oxford. Dogson amava i bambini e divenne amico di Lorina, Alice e Edith Liddel, le giovani figlie del preside del college Christ Church.

Un giorno d’estate del 1862 egli intrattenne le bambine, durante una gita in barca, con una storia sulle avventure di Alice in un mondo magico a cui si accedeva attraverso la tana di un coniglio. La piccola Alice, di dieci anni, restò talmente affascinata che lo implorò di scrivere questa storia per lei.  Ci volle un po’ per Charles per terminare il lavoro con la sua sottile, pulita calligrafia e completarlo con 37 illustrazioni. Alla fine Alice ricevette il libro di 90 pagine, “dedicato a una cara bambina, in memoria di un giorno d’estate”, nel novembre 1864.

Spinto dagli amici a far pubblicare la storia, Dogson riscrisse e ampliò il racconto, eliminando alcuni riferimenti familiari privati e aggiungendo due nuovi capitoli. La versione pubblicata fu illustrata da John Tenniel.

Molti anni dopo, Alice fu costretta a vendere il suo prezioso manoscritto a un’asta. Fu acquistato da un collezionista americano, ma tornò in Inghilterra nel 1948, quando un gruppo di benefattori americani ne fece dono alla British Library in segno dell’apprezzamento del ruolo del popolo britannico nella Seconda Guerra Mondiale.

Potete sfogliare il manoscritto seguendo questo  Link 

 

Una valigia piena di sale

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Da Sardegnasoprattutto un articolo di Leonardo Mureddu dell’Italia degli anni 50

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Come molti sardi vengo da una famiglia un po’ chiusa, legata alle tradizioni locali. Mia nonna apparteneva a quella generazione di donne sagge che trovavano naturale tirare il collo a una gallina che fino al giorno prima avevano chiamato per nome, e la stessa gallina sembrava tutto sommato accettare questo suo destino.

Poi ci fu la guerra, seguita dal bisogno di ricostruire, di normalizzare. Molti emigrarono, altri prendevano il lavoro che trovavano. Mio padre vinse un concorso come contabile nell’amministrazione carceraria. Accettò il posto “provvisoriamente”, in attesa di meglio, ma poi mise su una famiglia di sei figli e lo tenne per tutta la vita.

Quell’impiego governativo comportava trasferimenti di sede: ecco perché a un certo punto ci imbarcammo sulla motonave “Città di Tripoli” che ci portava a Napoli, e da lì un piccolo vaporetto ci sbarcò a Procida. Erano gli anni ’50, avevo cinque anni allora. Andammo a vivere sul punto più alto dell’isola, la “Terra Murata” dove c’erano le carceri.

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Oca

Oca

Oca

 

Prima di affrontare un progetto, c’è una fase in cui scrivo, disegno leggo di cose non necessariamente attinenti al tema che dovrò sviluppare. Questo mi aiuta a dimenticare la tecnica o il linguaggio e liberare le emozioni. In una di queste giornate ho incontrato una monografia di Matisse, in questo periodo da me molto amato e ho trascritto una sua frase.

“Il carattere di un viso disegnato non dipende dalla diversità delle proporzioni ma da una luce spirituale in esso riflessa. Tant’è vero che due disegni dello stesso viso possono rappresentare lo stesso carattere, anche se in ciascuno le proporzioni del volto sono differenti. In un fico non una foglia è uguale all’altra: sono tutte di forma differente; tuttavia ciascuna grida: fico”

(Henry Matisse)

Enrica

Televisioni Straccione

TelevisioniStraccione

TelevisioniStraccione

Solo in Italia poteva capitare. Nella nazione con le leggi più restrittive in campo radiotelevisivo improvvisamente nelle città cominciano a spuntare antenne trasmittenti. Ci fu un giorno in cui scoprii che la mia radio FM, oltre alle solite tre stazioni radio riceveva altri canali: le radio libere. Tre, quattro, dieci, una sull’altra. Alcune addirittura in stereofonia, cosa che la RAI ancora non faceva.

Dj improvvisati dalla voce impostata, musica banale, scherzi e telefonate in diretta, interviste e conversazioni stentate in mezzo a cigolii di porte, rumore del traffico della strada, caduta improvvisa del segnale per interi minuti o per giorni: “abbiamo avuto difficoltà tecniche”. In seguito per il mio hobby mi trovai a visitare quelle stazioni radio: locali fatiscenti affittati nella parte alta della città, con un trasmettitore da poche decine di watt, un giradischi, microfoni, cuffie, un tavolo quadrato, cicche di sigarette, bottiglie vuote della birra locale, lo scotch alle finestre per attutire i rumori esterni. Ragazzi e ragazze impegnati nella loro missione: dare libertà alla radio, dare voce alla libertà. Un tecnico, anch’egli improvvisato, che passava metà del suo tempo a cercare di impedire che “i finali” saltassero e che l’antenna sul tetto crollasse.

Non si trattò di una legge illuminata e progressista, ma dell’effetto inaspettato di una sentenza della corte costituzionale che, per sanare una vicenda legata all’attività di certi radioamatori un po’ pirati, di fatto aprì le porte, anzi le spalancò, alle trasmissioni a carattere locale. Di lì a pochi anni arriveranno anche le televisioni. Libere, fresche, straccione, colorate.

Ci si arrabatta con antenne improvvisate e si inseguono i passa-parola, per provare l’ebbrezza di una trasmissione fuori protocollo. In effetti tutto è fuori protocollo in quelle prime trasmissioni locali: telecamere che fanno la scia, colori cangianti, presentatori dai volti lucidi e dai movimenti impacciati, cameramen e registi da mal di mare, microfoni che gracchiano. Più che televisione sembra un teatrino che la imita, una recita di famiglia sullo sfondo di un lenzuolo e di una pianta di ficus. In primo piano due sedie per il dibattito, e per catturare l’audience il passaggio goffo di qualche bellezza locale, in veste di presentatrice o di valletta. Possibilmente conosciuta in città: “Hai visto chi presenta a Telenova? la commessa dell’Eurostyl! e nella sigla finale balla!” e tutti a correre all’Eurostyl per vederla di persona, e poi la notte a cercare di sintonizzare Telenova. Ma la trasmissione va e viene, è piena di riflessioni, non resta ferma un attimo, è difficile dire se sia lei o un qualunque altro fantasma, e non c’è nessuna sigla finale perché la trasmissione finisce bruscamente e appare un monoscopio, anch’esso fantasmatico.

Ho amato molto quella televisione, anzi devo dire che mi sono formato proprio con quella, nella quale dovevi concentrarti sul messaggio, e non sugli errori e tutti i problemi. Eravamo tutti tranquilli, sia noi che guardavamo, sia loro che a poche centinaia di metri trasmettevano: niente era da prendere troppo sul serio, anche se un film si interrompeva a metà, o se dopo il primo tempo seguiva il secondo tempo di un film differente. Tanti protagonisti attuali del mondo perfetto della televisione berlusconiana si sono formati allora, inventando e sperimentando allegramente davanti a pochi intimi.

La cosa durò pochi anni, forse cinque in tutto, poi arrivarono altre leggi e gli interessi dei capitalisti, e quasi tutte le televisioni libere chiusero, vennero assorbite, diventarono parte di network. La tranquilla televisione stracciona lasciò definitivamente il campo alla TV commerciale, assettata di audience, incalzante e ansiogena.

(P. P. Alberigi, illustrazione di Enrica)

Atrofizzazioni

atrofizzazione

atrofizzazione

Qualche tempo fa, in una merceria, compravo dei calzini. Il negoziante si avvicinò a una calcolatrice di quelle che stampano, batté alcuni tasti, aspettò l’uscita della striscetta di carta col totale e mi disse: “trentacinque”. Mentre andavo a pagare potei buttare l’occhio su quella striscia stampata. C’era scritto: 5 * 7 = 35. Restai sconcertato.

Possibile che il negoziante fosse tanto ignorante da non conoscere la tabellina del cinque? Non credo. Forse,  semplicemente aveva preso l’abitudine di fare tutti i conti con la calcolatrice, sia per problemi semplici come quello, sia per calcolare sconti complessi o operazioni con l’IVA. A cosa rinunciava con questa decisione? Rinunciava all’esercizio di un’abilità.

Così come quelli che prendono l’auto sia per attraversare l’Europa, sia per andare al tabacchino all’angolo. Non pensano che un posto vicino si può raggiungere anche a piedi: ci si sposta in macchina. A cosa rinunciano? Negli anni ’50 qualcuno sosteneva che l’uomo del futuro sarebbe nato senza gambe o con delle gambette atrofizzate, dato che non le usava più per camminare e salire le scale.

Ogni tanto, in questo mondo dallo sviluppo tumultuoso, viene lanciato un allarme. Il nemico è la tecnologia che fornisce nuovi strumenti destinati a soppiantare abilità conquistate in migliaia di anni. Occorre dire che gli ultimi anni hanno visto delle vere rivoluzioni, e i misoneisti hanno del bel pane per i loro denti.

Per esempio, uno degli aspetti che preoccupa i nemici del progresso, è la perdita della memoria, ma non la memoria di fatti, storie, luoghi: quella spicciola che serve per ricordare i numeri di telefono e altri semplici dati della vita quotidiana. Demandiamo tutto ciò allo smartphone, che ci risolve questo e altri mille problemi, compreso leggere una carta stradale, recuperare il nome di un attore o ricordarci di un compleanno. Piccole tecniche mnemoniche che si disimparano, o che non si imparano affatto. Mia madre conosceva a memoria il numero di telefono di decine di persone, compreso il negozio delle bombole del gas, e mentre faceva la spesa aveva un totalizzatore interno che le permetteva di conoscere in anticipo l’ammontare dello scontrino – usava quella tecnica che si chiama “il conto della serva” – per poter contestare immediatamente eventuali errori o tentativi di truffa. Oggi buttiamo le merci nel carrello, poi alla cassa tiriamo fuori la carta, digitiamo il pin e usciamo senza neppure sapere quanto abbiamo speso.

L’aspetto più inquietante di questa rivoluzione tecnologica però è legato alla scrittura. Dopo migliaia di anni di scrittura a mano, improvvisamente l’umanità si trova davanti a una tastiera. Niente più corsivo, svolazzi, belle o brutte calligrafie, ma semplice, facile digitazione, aiutata da software di autocompletamento di parole e frasi, e da correttori ortografici automatici. Al confronto con questo problema, quello delle tecniche di memorizzazione o del calcolo mentale, o dell’atrofizzazione delle gambe a furia di non usarle, sono bazzecole. Qui si tratta della struttura stessa del nostro cervello, costruita e sviluppata proprio intorno al linguaggio e alla manualità.

Nel momento in cui si prende in mano una matita per scrivere, il cervello mette in moto una serie di abilità apprese fin dalla più tenera infanzia. Infatti deve tradurre un’idea in parole, le parole in frasi ordinate e grammaticalmente corrette, le frasi nuovamente in singoli fonemi che poi vanno tradotti in simboli grafici. Il tutto viene poi affidato alle speciali aree che si occupano delle abilità motorie di precisione della mano, utilizzando tra l’altro le risposte tattili fornite dalla penna e dalle asperità della carta, mentre l’apparato visivo controlla la qualità della scrittura, lo spazio scritto e quello che rimane, decide se e quanto ingrandire, rimpicciolire, andare a capo eccetera. Tutto questo risente ovviamente dello stato mentale, di salute, dell’età e del sesso di chi scrive, per cui ciò che scriviamo a mano è volta per volta unico, irripetibile e ricco di informazioni molto più delle parole di cui è composto.

In realtà, la nostra capacità di fare ragionamenti complessi dipende anche dall’esercizio che facciamo quando scriviamo. L’asimmetria della scrittura a mano poi, dicono gli esperti, serve ad aprire la mente a percorsi non standard, e l’impossibilità di correggere intere frasi già scritte insegna a mantenere a mente lunghi periodi codificati in parole e frasi, in modo da trasferirli correttamente sulla carta. Insomma, la stessa intelligenza si è formata intorno al linguaggio scritto.

Cosa si perde se si abbandona la matita e si passa alla tastiera? Apparentemente niente, a parte i fronzoli inutili. Non ci sono più belle calligrafie o brutte calligrafie, o peggio scritture incomprensibili. La comunicazione, apparentemente, ci guadagna. Per uno come me, poi, nato mancino e costretto a usare la “mano giusta”, è una vera liberazione.

Secondo alcuni ciò che si perde invece è tanto: si perde un esercizio cerebrale tra i più complessi, che porta dall’astrazione dell’idea alla concretezza di piccoli disegni, sottili e precisi, di una matita su un foglio, come un passaggio dalla metafisica alla fisica, un miracolo che mette in vista l’anima di chi scrive attraverso i movimenti della mano. E tutto questo lo si apprezza poi nell’operazione opposta, quando si legge uno scritto corsivo.

Forse bisognerà tener conto di questo patrimonio conquistato col contributo di tante generazioni, prima di liquidarlo sbrigativamente dicendo: basta scrivere a mano, d’ora in poi si scrive tutti con una tastiera. Scrivere a mano, in corsivo, poche righe al giorno, potrebbe essere un allenamento utile al cervello come l’esercizio fisico per il tono muscolare. Oppure il cervello svilupperà altre abilità, finora sopite e inaspettate, che sostituiranno l’intelligenza basata sulla scrittura a mano con altre intelligenze. Ma ci vorranno migliaia di anni per vedere i risultati. (23/07/15 P.P. Alberigi – Illustrazione di Enrica)


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Design Resistente

des_res_testata

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Cinque giorni a Milano dopo un anno… in occasione della mostra collettiva “Design Resistente” che celebra i 70 anni della liberazione, interrrogando i designer della comunicazione su come attualizzare il tema. Una call a cui ho risposto con una mia opera grafica

L'AnimoResistente

La colombella della pace a cui ho sostituito il ramoscello d’ulivo con il fucile. Per non soccombere anche i simboli di pace devono, a volte, armarsi per resistere e reagire alla prepotenza e alla tirannia che li imprigiona. Nonostante gli anni trascorsi a Milano, non conoscevo la storia di Sesto San Giovanni il suo movimento operaio e il suo forte contributo alla resistenza al regime nazifascista.
Percorrendo le stradine sotto la ferrovia ogni pochi passi c’è una targa o una fabbrica dismessa come la Breda adibita ad ospitare eventi culturali o mostre permanenti.

Così ho trovato lo spazio Mil (Museo dell’Industria e del Lavoro)

carroponte

spazioMil

ad aprire la mostra c’èra un labotoratio di caratteri mobili organizzato dai ragazzi  del cfp bauer Bodoni

caratteri

 sala1

papaveri

sala

ventimesi

Ho trovato una Milano calda e accogliente, ho camminato a lungo e anche pedalato.

bici

Ho rivisto gli amici di sempre, che a Milano ci sono nati o ci sono arrivati e ci si sono legati.
Mi sono emozionata a salire su per le scale del mio vecchio ufficio, entrare di sorpresa e rivedere i miei ex colleghi, sentire l’odore dei libri misto a moquette e caffè.

Torno da Milano, e riporto indietro dolci ritrovi e nuove scoperte legate al design e al mio modo di guardare ciò che mi circonda abbinando fotogrammi e sensazioni, libri, musiche e film…
Enrica


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Dal Mondo:

Bibi-and-Bust

Le elezioni in Israele non ancora concluse danno Netanyahu (BIBI nella sua ultima campagna elettorale) nettamente in svantaggio, forse anche a causa dei recenti dissapori con la Casa Bianca

Bibi-and-Bust

 

“Boom and Bust”: “Espansione e Frenata”

Enrica

daverio

Da Sardegnasopratutto un’intervista con Philipe Daverio

daverio

“Philipe”, per gentile concessione di cucumeu.eu

15 luglio 2014. Basta Ilva e Melfi. L’Italia deve monetizzare il suo patrimonio culturale. Daverio suggerisce a Renzi un ministero ad hoc. Tutte le strade, da due anni, sembrano portare a Berlino, città europea più visitata di Roma. E conducono anche al Louvre che stacca 10 milioni di biglietti l’anno, quasi come tutti i musei italiani insieme. Arrivano certamente alle Canarie pronte a ospitare 75,4 milioni di pernottamenti in 12 mesi contro i sei della Sicilia. Per le statistiche non è insomma solo Pompei a crollare, ma l’intero sistema del turismo italiano a essere ripiegato su se stesso… Continua a leggere

Una spinta controcorrente

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I-numeri2bannerAbbiamo già scritto che non pubblichiamo best sellers. Facciamo libri in piccola tiratura per colmare delle lacune, le cosiddette
nicchie che non interessano certo i grandi editori, ma che sono di vitale importanza per piccoli gruppi di appassionati. Ma nel caso della nostra nuova collana di ebook abbiamo pensato non solo a voi lettori ma anche a loro autori. Se ci chiedono: quali libri ha scritto Carlo Collodi? e quali Edmondo de Amicis? Probabilmente ci fermiamo a uno per ciascuno. È la fama dell’opera maggiore che surclassa tutte le altre. Da qui nasce l’idea dei Numeri Due: opere belle e importanti, che hanno avuto la sfortuna di nascere all’ombra di colossi irraggiungibili, numeri due solo per caso, spesso per questo introvabili nei cataloghi… Ci piace l’idea di scovare e far rinascere queste opere in formato digitale, dopo un attento lavoro di revisione. Sono scaricabili a prezzi molto bassi non per svalutare il nostro lavoro e l’importanza dell’opera, quasi abbracciando la teoria del sottocosto ma perché il nostro intento è quello di salvare e divulgare opere sconosciute o oscurate perché non utili per il mercato di massa. Il nostro è un progetto culturale. Diamo una piccola spinta controcorrente all’attuale modo di fare editoria favorendo l’opera e non l’offerta. È un po’ come salvare questi libri nella memoria come accadeva nel lungimirante Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.

Recentemente abbiamo scelto di inserire nel nostro catalogo la raccolta Cinematografo Cerebrale di Edmondo De Amicis, che sembra voler mettere in discussione i valori celebrati in Cuore, affidandosi a una rinnovata libertà espressiva: critica l’incoerenza e l’enfasi grottesca delle buone maniere imposte dalle consuetudini sociali; indaga la vanità e i pregiudizi ragionando sul nostro modo di considerare i volti delle persone; s’ingegna per svelare l’ipocrisia della famiglia e delle istituzioni, osservandole dal ripugnante ma efficacissimo punto di vista di due mosche. Una lettura sorprendente, a tratti illuminante, d’indubbio interesse per chi ha amato Cuore e per chi desidera conoscere aspetti meno noti della molteplice e intricata personalità artistica di De Amicis, ancora oggi troppo spesso sottovalutata e ridotta alla semplice memoria della sua opera più celebre.

 

La piccola bellezza

Alba de cespedes

Dalla parte di leiMi dicono che sia bellissima e che la mia bellezza esprima un incontenibile dolore.

Ines, Cosenza

Lo contenga, lo contenga per carità, non me lo racconti. Rischieremmo di perdere entrambe due cose che ci sono preziose: la sua bellezza e il mio tempo.

Alba De Cèspedes

Epoca 1954

 

Economi o avari

Alba de cespedes

Dalla parte di leiSono fidanzata con un uomo che io giudico avaro, mentre egli sostiene di essere soltanto economo. Che differenza passa tra economo e avaro? 

(Esterina, Lucca)

Direi che economo è colui che si priva di qualche piacere per proteggere la propria debolezza e avaro colui che prova piacere soltanto nel difendere la propria forza.

Alba De Cèspedes

Epoca 1954

 

 

Polpettone ad uso Zingaro

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matisse-the-wild-poppies-1953-printPer la prima volta a Parigi da sola: 2 maglioni pesanti, una borsa capiente, calzettoni in cashmere, stivali comodi e una lettura leggera di Marco Malvaldi, “odore di chiuso” ricevuta in dono da Ernesto che mi regalò la prima edizione di Pian della Tortilla di Steinbeck e da allora ha acquistato una certa fiducia in fatto di libri.  La sera lungo il canal St. Martin ci sono delle locande, calde e fumose, pochi turisti, buona cucina francese e ottimi vini a me sconosciuti… non avendo strumenti per il dialogo mi limitavo ad osservare e ascoltare quella lingua affascinante e prima e dopo aver consumato il mio pasto mi affacciavo in un castello della maremma toscana e sedevo a tavola a fianco al baffuto Artusi descritto fedelmente da Malvaldi, che intreccia questa vicenda al carattere originale di quest’uomo insolito per il suo tempo e ne viene fuori questa ricetta che a me ricorderà sempre Parigi, 2 maglioni pesanti, una borsa capiente…

POLPETTONE AD USO ZINGARO   https://www.xedizioni.it/upload/Polpettone_Artusi.pdf

Dalla parte di Lei

Alba de cespedes

Dalla parte di leiOggi si parla molto del desiderio che la donna ha di rendersi indipendente e di lavorare e· lei stessa vi accenna di sovente. Forse ciò avviene in casi eccezionali, quando il lavoro indica una vera e propria vocazione. Ma, in generale, il desiderio di lavorare è degli uomini. lo credo che se si offrisse a cento donne di vivere tranquille a casa loro, poche insisterebbero per essere operaie o impiegate 

(UN ABBONATO  DI ROMA)

Pochissime, anzi. Ma se a cento uomini, operai o impiegati, si offrisse una rendita mensile pari al loro stipendio, lei crede che, al contrario, sarebbero molti quelli che preferibbero continuare a lavorare?

 Alba De Cèspedes

Epoca 1952

Fare una Follia

Alba de cespedes

Dalla parte di lei

I suoi consigli sono pieni di saggezza. Ma tutti sembrano escludere quel briciolo di follia che pur rende sopportabile la vita, e anzi ne costituisce la felicità.

(ELISABETTA. ROMA)

Io credo che bisognerebbe, innanzi tutto, intendersi sul significato della parola follia. Vediamo dunque: il Tommaseo dice che follia «è l’azione che manifesta mancanza di senno».

La mancanza di  senno non può dare felicità: poiché vuol dire anche mancanza di coscienza intesa in senso di consapevolezza e la felicità è appunto consapevolezza di godere qualcosa che ci procura gioia. Io credo, perciò, che quella che lei chiama follia è ciò che io chiamo coraggio. Infatti, molte persone non hanno coraggio di affermare alcune idee in cui credono, ma che sono tradizionalmente condannate, o di superare convenzioni di cui sono schiavi, anche se le disapprovano. E per godere, senza rimorsi, della felicità che quell’affermazione o quel superamento procura loro, asseriscono di essere vittime di un momento di follia. Come il bambino che ha disubbidito tenta di evitare la punizione dicendo: «Non ero io: era il diavolo». Nei paesi anglosassoni molti uomini ricorrono all’alcool quando vogliono … correre la cavallina; il giorno seguente si scusano col dire: «Avevo bevuto», cioè: «ero privo della coscienza», poiché l’educazione puritana vieta loro di ammettere che hanno ceduto a impulsi che sono, invece, naturali: di conseguenza fingono anche di ignorare che hanno consapevolmente deliberato di bere appunto per perdere la coscienza. Nello stesso equivoco cade anche, mettiamo, I’industriale che, decidendo di non andare in ufficio per un giorno, crede di fare una follia, mentre ubbidisce a un legittimo desiderio di riposo. Allo stesso modo si dice che qualcuno è «follemente innamorato», quando si dovrebbe dire che è saviamente innamorato. Poiché è savio chi, amando, all’amore si dedica con fervore. Sicché quando io ripeto ai miei lettori che bisogna vivere consapevolmente, cioè chiarire le proprie idee e avere la forza di affermarle, li invito proprio a sostituire la vaga e spesso ipocrita parola follia, con le parole coraggio, coscienza, diritto. Infatti la possibilità che ha uno scrittore di saper definire sentimenti e stati d’animo, deriva anche dalla capacità che egli ha di chiamarli col loro nome, perché usa un linguaggio appropriato e perché soprattutto ha il coraggio di usarlo.

Alba de Cèspedes Epoca 1952

 

 

Type Dreaming la fonderia digitale

Type Dreaming

Type Dreaming

… da bambini, la società è molto semplice. La domanda cosa farai da grande nasconde in realtà un sacco di aspettative di chi la porge, che con il tempo si palesano e s’insediano. Allora per adempiere a queste aspettative i pompieri fanno la carriera militare, le maestre gli avvocati, i muratori gli ingegneri, gli scienziati pazzi i medici. Come si diventa designer della comunicazione, non saprei proprio! Probabilmente oggi dal tentativo fallito di tutti questi mestieri, o dall’enorme successo. Una volta un noto chirurgo della mia città per cui curavo la comunicazione di una fiera di settore mi disse: «Vede Enrica, come mi riesce essere così creativo! Sarà perchè faccio anche chirurgia estetica». No, non voglio essere malinconica e scomodare i vecchi tipografi, sarebbe come continuare a battere la lingua sull’“evoluzione tecnologica non equivale all’evoluzione sociale”, un concetto su cui un grande pensatore (Pasolini) ha già espresso la sua e su cui potrei solo ricamare inutili luoghi comuni. Qualcosa è sicuramente cambiata con la comparsa sulla scena tipografica del computer, si ha molta più scelta di caratteri, non si quantificano neppure, software con una moltitudine di funzioni che per conoscerle tutte passano gli anni e questo ha generato sicuramente un po’ di confusione, tanto da perdere di vista gli obbiettivi di un lavoro. Ma se questo ha semplificato e stravolto le dinamiche interne degli “addetti ai lavori” non bisogna essere rigidi e ancorati ai sistemi passati, qualsiasi impaginato che sia stato prodotto con inchiostro e caratteri a piombo oppure con un software appropriato dovrà avere le stesse caratteristiche. La storia della fonderia digitale nasce in quel garage di Santa Clara Valley dal sogno di due giovani visionari e non ha ucciso un mestiere ma gli ha ridato vita. Il metodo progettuale non è cambiato e “creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo”.

Enrica