Articoli per 2018

Italia domanda

Il settimanale “Epoca” fu moderno per i suoi tempi, basando la sua forza su pochi ma stabili elementi, per esempio alcune rubriche destinate a creare dibattito e, come si direbbe oggi, fidelizzazione. Alcune di queste si basavano sulle lettere dei lettori, per esempio “Dalla parte di lei”, curata per molti anni da Alba de Cespedes, di cui abbiamo parlato diffusamente in queste pagine e di cui abbiamo pubblicato un estratto in volume alcuni anni fa (Dalla parte della Ragione). Un’altra rubrica-pilastro fu Italia domanda, numerose pagine dedicate a fornire risposte ai più svariati quesiti del lettori, dall’esistenza dell’anima ai viaggi interplanetari. Un apposito team di “risponditori” era pronto a ricevere le domande che via via arrivavano e venivano smistate secondo la competenza. Ciò che non tutti sanno è che questa rubrica fu ideata e condotta nei primi tempi da Cesare Zavattini, il quale anzi l’aveva progettata inizialmente come una pubblicazione a sé stante, ma non riuscì mai a farla partire. Ci riuscì con l’aiuto di Mondadori, e andò avanti per parecchi mesi. Poi abbandonò per disaccordi ideologici con l’Editore, ma la rubrica Italia domanda continuerà per tantissimi anni.

Su una pagina culturale del Sole 24 Ore di qualche anno fa si parla proprio di qesta vicenda, in occasione dell’allora 50° anniversario della fondazione di Epoca. Ci permettiamo di linkare qua sotto l’articolo di Laura Leonelli tratto dall’archivio:

Quando Zavattini fece “Epoca”

Walter Bonatti era un filosofo

Scardovelli

Le imprese di Bonatti ci hanno sempre apassionato, abbiamo messo a disposizione alcuni estratti di epoca che ne descrivono i dettagli e vi consigliamo di vedere questo filmato dove Scardovelli descrive Walter Bonatti come un filosofo.

cliccate sull’immagine per aprire il filmato.

Scardovelli

Abbastanza Cagliari

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ecco-cagliari-coverSembra quasi che i cagliaritani, pur amando la loro città, nutrano una specie di understatement nei suoi confronti, come se la considerassero un dato di fatto, una cosa né più bella né più brutta di tante altre. Lo stesso atteggiamento usano nel parlare: mai superlativi; le cose buonissime sono al massimo “abbastanza buone”, una ragazza bellissima è “bellina” per un cagliaritano, e con “un paio” di libri ci fa una biblioteca. Per questo non è facile trovare lodi sperticate, amori sconfinati, descrizioni entusiastiche negli scritti su questa città, e bisogna ricorrere anche un pochino agli stranieri e comunque ai non sardi.

Se cerco nella memoria, i miei vecchi che raccontavano le cose belle e le cose brutte, pian piano mi accorgo che l’amore viene fuori, e ovviamente anche la nostalgia e il dolore per le tragedie, e l’orgoglio per le tradizioni, anch’esse un pochino snobbate come la sagra di Sant’Efisio che richiama visitatori da tutto il mondo, e la cucina particolare, che veniva risolta in un semplice “mia nonna faceva così”.

Ho fatto questo piacevole esercizio: cercare Cagliari in letteratura, come appare appena accennata dentro un romanzo di Giorgio Todde o di Carlo Levi, come viene descritta fino agli odori o ai profumi dal grande Lawrence, come viene sezionata fino al minimo dettaglio dell’ultimo lampione stradale dall’ottocentesco Goffredo Casalis, e così via con quello che si trova. Ovviamente non tutto e non di tutti, giusto un assaggio di qualcuno, soprattutto quelli che mi hanno colpito. Sono una ventina di autori, e di ciascuno ho preso un frammento, una prospettiva originale. È questa l’origine del volumetto ecco Cagliari, che viene presentato in questi giorni da Xedizioni con il contributo grafico originale, per la copertina, di Enrica Massidda.

Il risultato si può sfogliare nella nostra sede di via dei Genovesi 38/40, e tra qualche giorno in alcune librerie di Cagliari. Io personalmente ne sono abbastanza soddisfatto. (L.M.)

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La Storia e la Sardegna

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radici_nodoHo appena letto Passavamo sulla terra leggeri, l’ultimo romanzo del grande Sergio Atzeni, pubblicato postumo ormai più di vent’anni fa. Devo confessare che l’avevo tenuto, come si dice, in stand-by per qualche tempo, pensando che si trattasse di una storiella un po’ epica e melensa del popolo Sardo. E all’inizio mi pareva che andasse proprio così, quando parlava dei danzatori e dei primi colonizzatori delle coste. Ma pian piano ho capito dove voleva arrivare. Questo libro non è una storia, ma un invito a conoscerla, la Storia. È un atto d’accusa nei confronti di chi, compresi molti sardi, ha impedito ai sardi stessi di conoscere le proprie origini, le vicende che hanno formato le culture, le lingue, i caratteri che sono unici e complessi. E, pensando al vecchio adagio che vuole che la storia la scrivano sempre i vincitori, si capisce come mai nelle scuole sarde non sia mai stata introdotta la materia La nostra Storia, da affiancare alla Storia stentorea ed eclatante che tutti ci onoriamo di conoscere.

Proviamo a chiedere, in una di quelle interviste tipo “le iene”, a un sardo che esce dal mercato o da un centro commerciale se ha idea di chi fosse Nerone, Cavour, Garibaldi, Alessandro Magno. È probabile che molti rispondano correttamente: d’altra parte è dalle prime classi delle elementari che ci martellano con questi personaggi e le loro gesta. Proviamo ora a chiedere di Eleonora d’Arborea, di Giò Maria Angioy, degli Stamenti, dei Giudicati, dell’origine di Alghero. C’è da immaginare una risposta unica: “boh!”, forse con poche eccezioni. Ma non è colpa di chi “non si è informato”, è semplicemente una lacuna voluta dai programmi didattici, una parte della storia che non è mai entrata nei libri di scuola. E lo stesso vale sicuramente per le altre comunità italiane che sono state oggetto di conquista, basti pensare a tutte le “tribù” degli Appennini che furono sottomesse dalla Roma in espansione. Tutti hanno una propria storia da raccontare, tramandare, difendere. La Sardegna ancora di più, data la lontananza fisica e linguistica dalla cultura egemone.

Una possibile riforma illuminata della scuola dovrebbe inserire la “storia locale” come materia istituzionale a sé, privilegiando con una sorta di lente d’ingrandimento i fatti e le persone da cui discendiamo, di cui essere orgogliosi o di cui provare vergogna, e insegnarci, anche se proveniamo da altre regioni, il lungo cammino della civiltà della terra che ci ospita. Questo percorso lo si fa già a titolo sperimentale in alcune scuole, grazie all’impegno gratuito di insegnanti intelligenti e preparati, e i risultati sono sorprendenti, in termini di interesse e profitto, dato che si parla di noi stessi, dei nostri antenati, insomma della nostra storia, e diventiamo tutti un po’ custodi del tempo. (L.M.)

Il brano che segue è la pagina di Sergio Atzeni che ha dato origine a queste ovvie meditazioni.

I giudici vivevano nelle grotte. Non erano affatto di pelle nera, come potrebbe pensare chi credesse alla strana cucina savoiarda della verità storica. Non erano di pelle nera, non parevano affatto discendenti dei mauri. Erano irsuti, armati e coperti di pelli come quelli che avevano combattuto i romani. Lo storico savoiardo preferiva spezzare la storia del popolo che dalla notte del tempo occupa questa terra e negli ultimi venti secoli ha dovuto vedersela con ospiti di tante etnie che hanno preteso d’essere i padroni.

Forse lo storico savoiardo desiderava che lo zelo fosse notato in alto loco, così che qualcuno della capitale lo ripescasse, lo salvasse dall’isola insalubre e soprattutto dagli strani studenti che durante le lezioni lo guardavano fisso come fosse un cane con tre teste e fra loro parlavano sette dialetti diversi, uno dei quali pareva castigliano antico. Gli studenti non capivano una parola dell’italiano savoiardo, o fingevano di non capire, cafoni e maleducati. Uno studente, una bestia di Ierzu, tirò un calamaio, con mira perfetta, e colpì lo storico savoiardo proprio in mezzo alla fronte, lo storico barcollò, si impiastrò, balbettò. Dovette mandare l’abito a lavare. La bestia di Ierzu, Nino Lobina, fu espulso da tutte le università del regno e condannato a cinque anni di lavori forzati. A chi chiese il perché del gesto rispose: «Quel babbasone diceva soltanto tonterias».

Gli storici savoiardi tentavano di spezzare il filo che lega la sovranità dei sardi alla terra dei sardi; volevano dimostrare che quella sovranità era stata perduta più e più volte, fin da epoche antichissime; volevano dimostrare ch’eravamo “terra dell’impero”, era l’unico elemento che giustificasse, secondo una distorta concezione del diritto, l’usurpazione savoiarda del titolo di re di Sardegna.

Gli storici savoiardi volevano fare credere agli studenti sardi d’essere fenici o punici, mirmilloni o mauri. Non sardi. Per gli storici savoiardi era meglio che i sardi immaginassero di non esistere. Meglio pensassero di essere figli di una patria che non sapevano neppure dove fosse.

«In Barbaria, però, ci facevano nascere» disse Cosimo Saba, custode del tempo negli anni di Bacaredda. «In Mauritania, non a Alesia, non sul Reno. Negri ci facevano nascere, non bianchi».

«I Savoia sono diventati re grazie a un falso, incoronati da chi non aveva alcun potere di incoronarli, la loro regalità è falsa, come si vede bene dai loro atti» disse Giusto Lussu di Armungia, custode del tempo.

Con sistemi banditeschi i villaggi sui monti, indifferenti agli storici e alle leggi savoiarde, hanno conservato i più estesi demani dell’isola e d’Italia. Ancora oggi i monti dove si rifugiò Mir sono proprietà collettiva degli uomini sardi liberi che li abitano, organizzati in comuni.

La storia talvolta non è il campo della verità, disse Antonio Setzu.”

(Sergio Atzeni: Passavamo sulla terra leggeri, Mondadori 1996)

Tra serigrafia e Risograph

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Bologna in primavera è tiepida, color pastello, Inuit è un laboratorio, casa editrice indipendente che stampa libri inediti di autori sconosciuti alla grande distribuzione ma di altissimo livello, tra cui Elisa Talentino, torinese di nascita, le sue illustrazioni hanno fatto il giro del mondo, proprio stamattina il suo profilo instagram ne pubblica una per il New York Times. Partecipo così in questo primo weekend di maggio ad un workshop di illustrazione organizzato da loro. I nostri lavori (il mio e quello degli altri partecipanti tra cui professionisti e studenti di varie accademie, scuole d’arte e design)  saranno stampati in Risograph e in serigrafia e di Risograph sento l’eco da ormai tanti anni senza mai averne capito bene il processo esucutivo. La Risograph è una specie di fotocopiatrice/stampante che usa tamburi e inchiostro liquido, quindi un mix tra serigrafia e  offset. Il risultato è un lavoro un po’ approssimativo rispetto alla resa del digitale ma è proprio questa imperfezione il suo pregio.

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La mia formazione professionale si sviluppa nel desktop publishing, la grafica vettoriale e da una lunga esperienza editoriale dove uno stampato deve raggiungere un’alta qualità di riproduzione attraverso le tecniche di composizione e di prestampa. 10 anni fa il direttore tecnico della casa editrice per cui lavoravo ci faceva compilare dei moduli dove si doveva indicare per ogni libro mandato in stampa la suddivisione della foliazione, ottavi, sedicesimi… e per ogni pagina: solo testo, testo immagine, solo immagine… tecnicamente questo avrebbe aiutato lo stampatore a impostare le plance e calibrare il colore, se mi state leggendo non è detto che sappiate che le pagine di un libro non si stampano come a casa foglio dopo foglio ma si dispongono in grandi plance che poi vengono piegate e tagliate.

Riso

Allora immaginate che mondo si può aprire  con uno strumento che possa riprodurre la vostra opera intervenendo di volta in volta, sulla resa, giocare con la sovrapposizione della matrice e la calibrazione del colore per ogni singola stampa sino ad ottenere un risultato soddisfacente cioè qualcosa che riproduca fedelmente i tratti originali del tuo disegno, perchè la risograph riproduce come una fotocopiatrice anche se stampa anche da file. Per disegnare i fondi abbiamo utilizzato inchiostro nero, talvolta diluito per creare mezzi toni grigi, acrilico bianco o liquido per mascherare che grattato o inciso ha degli effetti molto interessanti.

Io ho ritagliato le sagome del mio disegno e poi le ho applicate sullo sfondo, in questo modo non ho fuso la stampa risograph a quella serigrafica.

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La seconda fase del workshop è stata dedicata alla sovrapposizione di una stampa serigrafica: la matrice la abbiamo precedentemente disegnta a mano libera su acetato con inchiostri speciali. La abbiamo impressa su un telaio con una lampada e poi installata su un piano di lavoro. A questo punto abbiamo regolato la sovrapposizione in modo più o meno preciso e la stampa serigrafica si è così sovrapposta alla stampa risograph.

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Per concludere vorrei presentarvi BlexBolex per me è stato amore a prima vista,  è un illustratore francese che utilizza la serigrafia per la stampa dei suoi lavori e il suo lavoro si caratterizza oltre che per la sua sintesi e il suo acume anche per quei fuori registro che lo rendono unico. Orecchio Acerbo mette a disposizione un pdf in bassa per sfogliare il libro “IMMAGINARIO” e io vi consiglio di farlo seguendo il link

Enrica

Un NudistaUn uomo invisibile

 

 

 

 

Collodi

Collodi

Collodi

I primi volumi della la collana Ragnatele sono dedicati a Collodi, e il numero uno non poteva che essere Pinocchio. Ve lo offriamo con un invito, quello di leggerlo, o rileggerlo.

Pinocchio è in assoluto il libro più diffuso al mondo dopo la Bibbia, eppure pochi italiani l’hanno veramente letto: si accontentano di “conoscerlo” attraverso immagini, riassunti, citazioni, brani di antologia. Un po’ come si fa con la propria città. La si conosce per il fatto di abitarla, non si va in giro con la guida in mano per scoprirne la storia e le bellezze, la si dà per scontata e così si finisce col conoscerla meno di un visitatore occasionale. Ecco, noi “abitiamo” Pinocchio, il suo villaggio, la sua osteria, il campo dei miracoli e infine il pesce-cane da cui viene divorato e poi risputato salvo e finalmente saggio. Lo sappiamo e basta, che senso avrebbe leggerlo? Ma dalle prime pagine di questa storia apparentemente “risaputa” si scopre che vale la pena rileggerlo tutto, e proprio nella sua versione originale col testo di Collodi che non merita di essere semplificato, riassunto, straziato in tentativi di rimodernamento. Lo presentiamo in questa veste tascabile, ben curata come è giusto che sia.

Il secondo volume delle Ragnatele nasce da un’operazione di recupero e salvataggio. Infatti, dopo le numerose edizioni di fine ’800, il Giannettino di Collodi fu praticamente dimenticato dagli editori italiani, tant’è vero che non se ne trovano edizioni fino agli anni’40 del Novecento. Solo all’inizio della seconda guerra il povero ragazzo verrà rispolverato e sottoposto a una revisione con tagli e aggiunte anacronistiche, a uso e consumo della becera propaganda fascista, e ripresentato senza alcun commento per l’editore Carroccio, anno 1941. Purtroppo è quest’ultima edizione quella che è stata ripresa recentemente e trasformata in un ebook acquistabile online. Fin dalle prime pagine ci si accorge che il buon Collodi avrebbe di che rivoltarsi nella tomba per gli insulti alla sua prosa e ai suoi intendimenti. Per rendergli giustizia in qualche modo, abbiamo deciso di ripristinare l’originale, partendo da un micro-film di un’edizione del 1892, e svolgendo tutte le operazioni necessarie per arrivare a questa edizione filologica, perfettamente aderente alla scrittura dell’Autore. Questo volume rappresenta quindi l’unica (o la prima) edizione italiana moderna del Giannettino, nella quale sono sì evidenti gli intenti pedagogici e non mancano tratti di vera e propria pedanteria – si trattava di un testo ad uso scolastico –, ma corre sempre, sottile, la bella prosa di Collodi, la sua arguzia, l’ironia e spesso quel senso di ammiccamento tipicamente toscano, di chi sa prendere non troppo sul serio anche le cose “serie”.

Minuzzolo, il numero 3 è un personaggio comprimario di una serie, che diventa protagonista in una serie autonoma. Minuzzolo nei confronti di Giannettino, il personaggio principale, protagonista di numerosi romanzi scolastici di Collodi. Minuzzolo, compagnetto saputello e assennato, appare qua e là nel primo Giannettino, e poi lo troviamo alla stazione dei treni, per salutare l’amico ormai redento in partenza per un lungo viaggio premio insieme al suo tutore. È da lì che comincia questo libro, con la famiglia di Minuzzolo – padre, madre e quattro figli maschi che torna un po’ malinconica a casa dalla stazione, e in breve tempo organizza una sua propria vacanza, in villeggiatura in una fattoria non lontano dalla città, raggiungibile in carrozza con due giorni di viaggio. Durante il viaggio e il soggiorno Minuzzolo e i suoi fratelli, insieme con i genitori, qualche animale e altri personaggi del villaggio approfittano di ogni occasione per ripassare la Storia, dai miti all’unità d’Italia, con qualche digressione nei campi della scienza, della botanica e della tecnologia, e naturalmente con numerose lezioni di comportamento. Anche in questo caso, solo la qualità della prosa di Collodi, arguta e piacevole e mai troppo pedante riesce a trasformare un romanzetto edificante di fine Ottocento in una lettura scorrevole e a tratti divertente. La prima edizione del Minuzzolo risale al 1878, tre anni prima della comparsa del capolavoro di Pinocchio. Ci fa piacere inserire anche questo libro nella piccola scelta di opere di Collodi, come numero 3 della collana Ragnatele

Concludiamo con il numero 4 in una raccolta di favole, molte delle quali fanno parte ormai del patrimonio della letteratura per l’infanzia, sebbene in versioni più o meno edulcorate (vedi Cappuccetto Rosso). Nel 1875 l’editore Felice Paggi diede incarico a Collodi di tradurre in italiano una raccolta di fiabe di Perrault e altri autori francesi. A quanto pare Collodi si appassionò al genere, tanto da aggiungervi qualcosa di suo come precisa nella sua Avvertenza e da intraprendere la strada della narrativa per ragazzi che lo porterà fino al capolavoro di Pinocchio. I Racconti delle Fate viene cronologicamente prima degli altri libri che compongono questa mini raccolta: lo abbiamo inserito per ultimo (numero 4 delle Ragnatele) come ulteriore omaggio a uno degli inventori della letteratura pedagogica, che anche nelle fiabe non perde occasione per introdurre insegnamenti morali più o meno espliciti, all’interno di storie spesso molto cruente, ma sempre col suo tipico condimento di arguzia e ironia.

 

Gagarin

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Il sito Petitesondes.net  ha iniziato da qualche settimana la pubblicazione degli articoli del settimanale Epoca relativi alla cosiddetta “corsa allo spazio”: la folle gara che coinvolse le due superpotenze mondiali (Usa e Urss) in una sfida tecnologica unica nella storia. La posta in palio era il dominio delle orbite terrestri, il trofeo la stessa Luna. Sappiamo chi alla fine vinse quella gara, non sappiamo a quale prezzo. La missione Apollo 11 mise tutti a tacere nel luglio del 1969, mostrandoci impronte di scarponi americani sulla sottile polvere lunare.

1968-915-gagarin-mortoMa ci fu un periodo in cui a vincere erano i russi, con la loro tecnologia forse un po’ goffa e misteriosa, e con la cattiva stampa che li accompagnava da noi in Occidente: erano i Comunisti, erano il Pericolo, erano il Nemico del Mondo Libero. Ma quando il loro piccolo Sputnik cominciò a girare intorno alla Terra col suo bip-bip che i radioamatori ricevevano con grande emozione, e quando pochi anni dopo fu la volta del primo astronauta Yuri Gagarin, allora si stette tutti col naso per aria, e il giovane cosmonauta divenne un eroe, tanto da far nascere migliaia e migliaia di piccoli Yuri nelle famiglie di tutto il mondo. Era la primavera del 1961.

Yuri Gagarin era l’uomo dai nervi d’acciaio, quello che la notte prima della missione dormì saporitamente, che aveva 60 pulsazioni al minuto anche al decollo, l’uomo in grado di mantenere il controllo in qualunque situazione. Per questo, quando pochi anni dopo (era sempre primavera, ma del 1968) precipitò con il suo MIG-15 in un banale volo di addestramento, vollero trasformare anche quell’impresa in un gesto eroico, raccontando che il pilota Gagarin non aveva voluto abbandonare il jet che precipitava per essere certo che non piombasse su un centro abitato. E le foto che campeggiavano sui giornali erano quelle della moglie e delle figlie, avvolte nel dolore consapevole e dignitoso delle mogli e figlie dei soldati morti per difendere la patria. Un dolore che assolve, non condanna.

Tutti ancora ricordano Yuri Gagarin cosmonauta ventisettenne che dice alla radio: “da quassù la Terra è bellissima senza frontiere né confini”. Ma mai come in quel momento il mondo era diviso, e i confini erano invalicabili. Vi offriamo (grazie a PetitesOndes) l’articolo che apparve su Epoca in occasione della sciagura aerea. (L. M.)

Gagarin – L’ultimo appuntamento col cielo

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Ancora Donne

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Ancora due volumi ad arricchire la nostra collana dedicata alle donne. Si tratta di un diario della scrittrice Anne Morrow Lindberg – già tra i nostri Numeri Dueche racconta una trasvolata transpolare del 1931 in cui accompagnò suo marito Charles Lindberg con il ruolo di marconista e di ufficiale di rotta del loro piccolo idrovolante alla ricerca di una rotta commerciale tra Usa e Oriente. La protagonista è proprio lei Anne, una donna coraggiosa e intraprendente che si conquista il secondo volume di questa collana.

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(In catalogo)

Il terzo volume è di Matilde Serao che ci racconta di Napoli in due opere differenti e contrastanti, unite in un unico volume. La prima, in una prosa delicata e onirica ci guida fino alle leggende della fondazione, alla figura di Partenope, una sirena greca raffinata e bellissima che cosparge di passione il golfo e le colline e ne fa nascere la “Città dell’amore”. La seconda opera, invece di taglio quasi giornalistico, ci porta per mano a conoscere le strade di una città ormai vissuta, sfruttata, aristocratica e stracciona, quella di fine Ottocento che si prepara a diventare la Napoli che conosciamo tutti, con i suoi stereotipi e le sue contraddizioni, ma col suo “ventre” materno e accogliente, specie per merito delle figure femminili che la popolano e la sorreggono.

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 (In catalogo)