Ho letto di recente un bell’articolo dal titolo “il graphic design tra automazione e relativismo” e vorrei riportavi alcune parti su cui mi sono soffermata raccontandovi una breve storia che mi riguarda e ci riguarda tutti.

Poco tempo fa ho ricevuto un messaggio di un parenteamico e anche se cado spesso dal pero, so che non sono mai buone nuove quando il parenteamico si decide a scriverti per la prima volta in vita sua e per lavoro.
 
Una mail lunga e corposa mi elencava una serie di attività legate alla psicoanalisi e all’arte che si potrebbero riassumere in  una fiera del “libera il tuo vero es”, e che concludeva: “fammi sapere cosa ne pensi, e qual’e’ la tua parcella per un provino/bozza. Io sono completamente alle prime armi nel campo della libera professione e non ho molta familiarita’ con tutto cio’ che concerne visibilita’ e marketing per cui inevitabilmente posso solo procedere per tentativi! :)

Ricordo che diversi anni fa un mio ex collega di studi, scrisse ironicamente il decalogo per far impazzire un grafico in 10 punti. Solo la prima mail li aveva sintetizzati tutti.

Il parenteamico non aveva nessuna idea di cosa fossero visibilità e marketing (molti addetti di settore ancora non distinguono il graphic design dalla pubblicità) e quindi quel che è peggio nessuna idea del mio lavoro e su come applicarlo. Ma io difficilmente schivo la trappola. La osservo la identifico e  davanti a me  c’è tutto l’epilogo della storia ma alla mia età ho ancora bisogno di fare esperienza… mi considero una junior, colpa del rifiuto della contingenza o delle mie amiche mamme super efficienti, m’inganno di poter risolvere tutto come loro. Così rispondo alla mail lasciando che  il mio cuoricino si apra al problem solving.

Illustrazione1“Ciao Dolores (la chiamerò Dolores mi sembra appropriato)
grazie per le informazioni, mi sembra di capire che vorresti un’immagine che coordini tutte le tre attività con nomi diversi. Ma non hai ancora i nomi (…) magari potremmo concentrarci su quella che pratichi di più”.

Insomma tra una mail di complimenti, e inutili imitazioni di management tra parenti le prometto delle bozze a Natale quando tornerà nella terra natia per le vacanze. Già perchè il parenteamico vive in una grande metropoli multietnica dove come scoprirò più avanti conosceva alla perfezione le tendenze di mercato. Ma a Natale non avevo nulla da presentare ed è vero che i mesi precedenti ho praticamente dormito in ufficio per poter adempiere a tutte le scadenze ma in verità non avevo nessun progetto su cui lavorare. Una mera risoluzione pratica ovvero un obbiettivo da raggiungere, una parola, un pensiero da trasformare in immagine o in lettera. Dovevo inventarmelo e le tecniche di rappresentazione avrebbero fatto il resto, in questo caso le tecniche pubblicitarie sono di grande utilità. Ma non sarebbe stata facile, lo avevo intuito da come il parenteamico rispondeva alle mail iniziando con “mia cara”… ma come mia cara? A una certa età quando si parla di lavoro non importa quale sia il grado di conoscenza tra voi, diventi “mia cara” e a scriverti è il suo capo.
In seguito a un  breve incontro dopo Natale mi misi a lavoro. Tra i miei colleghi ci sarà qualcuno che pensa che queste cose non succedono ai professionisti, perché un vero designer è duro e screma i clienti e conosce i suoi diritti e i suoi doveri ed è vero io sono un esistenzialista di professione e rifiuto qualsiasi clichè, metto sempre tutto in discussione… (un eroe).

Illustrazione2Mi sentivo un eroe anche quando volevo portare Max Uber e Depero Futurista dentro il Cagliari Calcio.  Avete mai sentito parlare del medico di Spoon River?  
Lasciamo perdere è che non riesco ad adempiere alle regole del manuale di come trattare la committenza, in genere mi perdo al terzo punto che inizia a parlare di fidelizzazione.
Oppure è  la competitività che mi manca, la strategia ma in compenso molta abnegazione. Poi ho quella cosa, la sindrome dell’impostore, e continuo a fare workshop a Milano, lo faccio anche perché mi piace leggere in metropolitana, il riscaldamento nelle case dei miei amici dove mi piazzo in salotto e bere un Negroni con le mie amiche servito da una cameriera anoressica in short inguinali.

Ma tornando al graphic design mi piace quella parte dell’articolo di Silvio Lorusso che ho citato all’inizio, quando parla della cultura popolare del graphic designer e della bomba innescata dal buon senso promosso dal designer autentico che si difende dal design diluito, quello che tra un foglio excel e l’altro piazzo la presentazione e faccio il loghetto che così tutti hanno imparato l’indignazione nei confronti del comic sans e che allineare a destra solo in casi eccezionali. Mi sono spesso trovata davanti a un cliente che controlla gli allineamenti come la maestra delle elementari quando si camminava in fila per due…
Illustrazione3

Cagliari più di qualsiasi altra città del sud Italia è considerata un posto dove si va in giro in ciabattine tutto l’anno, si beve birra al poetto e tutti sono felici. La prima cosa che mi dicono appena scendo dall’aereo, con un bel sorrisone è: «Si sta bene a Cagliari eh?» Come se vivessi in un atollo delle Maldive e quel sorrisone sottintende «Non fate un cazzo vero?». Allora, è vero che siamo poco più di un milione e mezzo di abitanti in tutta l’isola, c’è terra in abbondanza e non girerebbero mai qua il sequel di Metropolis, ma questo non dovrebbe diventare un fattore discriminante. Eppure anche il parenteamico che vive in una grande città scelse di rivolgersi a me perché “tu hai lavorato anche a Milano”.  Ma se il design è ideologicamente un modo di pensare,  poche volte ho trovato differenza tra Milano e Cagliari e le differenze sono nelle strutture aziendali volte all’efficienza produttiva non certo a rinnovare o creare.

Alla fine proposi al parenteamico una serie di illustrazioni surreali da utilizzare come delle carte. Erano talmente tanti e astratti gli argomenti trattati  che ogni illustrazione poteva racchiuderli tutti e quindi essere utilizzata singolarmente. Il mio intento era di trovare un modo di pensare comune che la aiutasse a trovare una soluzione o un’ispirazione. Questo è il mio approccio in genere perché mi riesce molto bene sviluppare un’immagine più che cercare di istruire le persone sul mio lavoro. Nel caso di un editore per disegnare una collana o con un art director per un’illustrazione i passaggi sono molto più veloci perché si parte da un progetto strutturato e più o meno si ha lo stesso punto di vista, o meglio si parte dalla stessa scuola di pensiero. Ma l’unico modo per procedere fuori dall’ambito editoriale è spesso proporre la mia interpretazione delle informazioni ricevute e non solo quelle verbali ma anche estetiche e intellettuali e quindi  si basa anche sulla condivisione del modo e del pensiero del mio interlocutore. Ed è certo con le persone più belle e prive di pregiudizi che  il lavoro giunge a buon fine. illustrazione4

Enrica

 

 

 

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