deepp3Tanti anni fa, la prima volta che andai negli Usa, una sera entrai in una pizzeria. Ero solo, come capita spesso quando si va a un convegno scientifico. La pizzeria era “Italian style”, secondo l’insegna. Non volevo “sentirmi a casa”, volevo solo cenare con una pizza e una birra. Venni investito da una ventata di luoghi comuni italiani: musica napoletana o simile con mandolini e tenorini, pitture vistose alle pareti, con vesuvi e ragazze brune dalla vita sottile e dalla scollatura generosa, camerieri dall’aspetto mediterraneo, ma queste cose me le aspettavo: se entri in una pizzeria “Italian style” a New York è perché vuoi respirare Italia. Sei schedato, e sarai registrato insieme alla tua carta di credito.

Ciò che non conoscevo era la pizza. Il menù, dall’aspetto di un questionario, ti permetteva di scegliere il tipo di pasta (grossa o fine), e poi gli “stuffings”, ossia tutto ciò che volevi metterci sopra. 50 cents per ogni crocetta. Potevi mettere pomodoro, mozzarella, prosciutto, zucchine, funghi, patate fritte, miele, aglio, crema alla nocciola, gamberetti, ketchup, curry, cetrioli… Tu segnavi le caselle, loro provvedevano a riempire la pizza con gli ingredienti di tua scelta, con grande abbondanza, e ti dicevano “ottima scelta, signore”. Ovviamente mi mantenni prudente quella volta, anche perché il mio inglese non perfetto non mi consentiva di capire proprio tutto. Per esempio non capii che essendo solo sarebbe stato meglio che non ordinassi “una pizza”, ma “una porzione di pizza”. Mi portarono una pizza gigantesca, sufficiente per quattro-sei persone. Cercai in tutti i modi di farmi onore, aiutandomi con una bibita dolce (in quel locale non servivano alcolici), ma verso la metà fui costretto a desistere. Un cameriere dall’aria sicula ma dall’accento newyorkese, imperturbabile, mi confezionò un “doggy bag” con gli avanzi, obbligatori da portar via. Mi immaginai da solo, in camera d’albergo, con quella mezza pizza da sistemare in qualche modo, e mi decisi a mollarla per strada in un cestino dei rifiuti (per fortuna sono giganteschi negli Usa).

Quella pizza mi ha insegnato tante cose. Mi ha insegnato quella sorta di greto commercio, che poi ho visto tante volte, che si è concretizzato successivamente anche in  Italia specialmente con certe reti televisive. Quel commercio non vuole piacere a tutti, ma vuole attirare gli appassionati dandogli in abbondanza ciò che amano. Ti piacciono i telefilm in cui delle persone salvano altre persone? Bene, prepariamo la pasta e aggiungiamo gli ingredienti che ami: pompieri che salvano dal fuoco, medici che defibrillano, poliziotti che liberano la città da assassini e stupratori, astronauti che ricacciano indietro gli alieni, ma in grande quantità e mischiati in tutte le proporzioni: defibrillazioni di alieni, pompieri maniaci sessuali, astronauti corrotti, poliziotti che appiccano incendi. Oppure ti piace il calcio, e allora te lo offriamo in reti specializzate non-stop, h24: tutte le partite di tutti i campionati di tutte le Nazioni del mondo, e sei tu il regista, scegli l’inquadratura e ti fai le moviole avanti e indietro a piacimento. Se ti piace il sesso, allora in fondo alla lista dei canali trovi quelli dedicati a mostrarti solo quello.

Lo stesso capita, non so se l’avete notato, con i libri e coi film. Gli scrittori e gli sceneggiatori non scrivono seguendo un’idea, ma confezionano un prodotto che dovrà essere venduto a un target, e sarà un bestseller. Spesso si fa un libro sapendo che diventerà un film, o un film sapendo che ne verrà estratto un romanzo, tanto il pubblico è lo stesso. Ti piace l’intreccio di spie e storie d’amore? Di intrighi religiosi? Ti piace il romanzo di formazione? L’avventura? Il giallo? La storia romanticona? Gli effetti speciali? Il romanzo a sfondo erotico? Eccoli pronti, sempre sulla stessa base della “deep pan pizza” dalla pasta soffice e grassa.

Tu sei noto, almeno statisticamente. Si sa che “certe cose” vendono a un “certo pubblico”. L’importante è che tu abbia le idee chiare, che insomma sappia cosa sei e cosa vuoi. Sport? Sport! Medical? Medical! Reality? Reality! Cucina? Cucina!

Il problema, per me che mangio una pizza anche per farmi un’idea della personalità del pizzaiolo, che leggo un romanzo per entrare nella testa dello scrittore, che vado al cinema o guardo la televisione per cercare spunti su cui lavorare, è che per bene che mi vada trovo una caricatura di me stesso, per giunta approssimativa. Ma c’è sempre qualcuno che mi incoraggia: “ottima scelta, signore”, e mi fa sentire a mio agio.

Tutto ciò mi ricorda un vecchio programma per computer che girava all’alba dell’informatica. Si chiamava Eliza e cercava di imitare una seduta psichiatrica. Cominciava con domande generiche, e dalle tue risposte, battute sullo schermo verde del terminale, cercava di cogliere delle parole chiave che poi utilizzava per suscitare il tuo interesse alla domanda successiva. Si poteva andare avanti per ore, e avevi l’impressione di avere un interlocutore, ma dall’altra parte non c’era nessuno, solo un giocatore di tennis nemmeno tanto scaltro che ti rimandava addosso i tuoi sentimenti, trasformati in cliché. (Mr X)

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